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ii - il mezzogiorno 135


durar si forte: né lassezza il vinse
né deliquio giammai né febbre ardente;
tanto importa lo aver scarze le membra,
495singolare il costume, e nel Bel Mondo
onor di filosofico talento!
Qual anima è volgar la sua pietade
all’uom riserbi; e facile ribrezzo
déstino in lei del suo simile i danni,
500i bisogni e le piaghe. Il cor di lui
sdegna comune affetto; e i dolci moti
a piú lontano limite sospinge.
— Péra colui che prima osò la mano
armata alzar su l’innocente agnella
505e sul placido bue: né il truculento
cor gli piegáro i teneri belati,
né i pietosi mugiti, né le molli
lingue, lambenti tortuosamente
la man che il loro fato, ahimè! stringea. —
510Tal ei parla, o signore; e sorge intanto,
al suo pietoso favellar, dagli occhi
de la tua dama dolce lagrimetta,
pari a le stille tremule, brillanti,
che a la nova stagion gemendo vanno
515dai palmiti di Bacco, entro commossi
al tiepido spirar de le prim’aure
fecondatrici. Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
520giovenilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con l’eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
con sacrilego piè lanciolla: e quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
525gli scompigliati peli, e da le molli
nari soffiò la polvere rodente.
Indi, i gemiti alzando: Aita, aita,