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i - il mattino | 161 |
panni ravvolto il garrulo forense
cui de’ paterni tuoi campi e tesori
il periglio s’affida; o il tuo castaido
135che giá con l’alba a la cittá discese,
bianco di gelo mattutin la chioma.
Cosí zotica pompa i tuoi maggiori
al di nascente si vedean dintorno:
ma tu, gran prole, in cui si féo scendendo
140e piú mobile il senso e piú gentile,
ah sul primo tornar de’ lievi spirti
aH’uficio diurno, ah non ferirli
d’imagini si sconce! Or come i detti
di costor soffrirai barbari e rudi;
145come il penoso articolar di voci
smarrite, titubanti al tuo cospetto;
e, tra l’obliquo profondar d’inchini,
del calzar polveroso in su i tapeti
le impresse orme indecenti? Ahimè, che fatto
150il salutar licore agro e indigesto
ne le viscere tue, te allor faria
e in casa e fuori e nel teatro e al corso
ruttar plebeiamente il giorno intero!
Non fia che attenda giá ch’altri lo annunci,
155gradito ognor benché improvviso, il dolce
mastro che il tuo bel piè come a lui piace
guida e corregge. Egli all’entrar s’arresti
ritto sul limitare; indi elevando
ambe le spalle, qual testudo, il collo
160contragga alquanto; e ad un medesmo tempo
il mento inchini, e con l’estrema falda
del piumato cappello il labbro tocchi.
E non men di costui facile al letto
del mio signor t’innoltra, o tu che addestri
165a modular con la flessibil voce
soavi canti, e tu che insegni altrui
come vibrar con maestrevol arco