Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. I, 1929 – BEIC 1889888.djvu/194

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1105ordin superbo di tue stanze ammira.
Or giá siamo all’estreme: alza i bei lumi
a le pendenti tavole vetuste
che a te degli avi tuoi serbano ancora
gli atti e le forme. Quei che in duro dante
ino strigne le membra, e cui si grande ingombra
traforato collar le grandi spalle,
fu di macchine autor; cinse d’invitte
mura i penati; e da le nere torri
signoreggiando il mar, verso le aduste
1115spiagge la predatrice Africa spinse.
Vedi quel magro a cui canuto e raro
pende il crin da la nuca, e l’altro a cui
su la guancia pienotta e sopra il mento
serpe triplice pelo? Ambo s’adornano
1120di toga magistral cadente a i piedi:
l’uno a Temi fu sacro: entro a’ licei
la gioventú pellegrinando ei trasse
a gli oracoli suoi; indi sedette
nel senato de’ padri; e le disperse
1125leggi raccolte, ne fe’ parte al mondo:
l’altro sacro ad Igeia. Non odi ancora,
presso a un secol di vita, il buon vegliardo
di lui narrar quel che da’ padri suoi
nonagenari udi, com’ei spargesse
1130su la plebe infelice oro e salute,
pari a Febo suo nume? Ecco quel grande
a cui si fosco parruccon s’innalza
sopra la fronte spaziosa; e scende
di minuti botton serie infinita
1135lungo la veste. Ridi? Ei novi aperse
studi a la patria; ei di perenne aita
i miseri dotò; portici e vie
stese per la cittade; e da gli ombrosi
lor lontani recessi a lei dedusse
1140le pure onde salubri, e ne’quadrivi