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203 il giorno


puote, e discerner sa qual aggian tutte
uso e natura. Piú d’ogn’altra cosa
455però ti caglia rammentar mai sempre
qual piú cibo le nocchi, o qual piú giovi;
e l’un rapisci a lei, l’altro concedi,
come d’uopo a te pare. Oh Dio, la serba,
serbala a i cari figli. Essi dal giorno
460che le allevierò il delicato fianco
non la rivider piú: d’ignobil petto
esaurirono i vasi, e la ricolma
nitidezza lasciáro al sen materno.
Sgridala, se a te par ch’avida troppo
465al cibo agogni; e le ricorda i mali
che forse avranno altra cagione, e ch’ella
al cibo imputerá nel di venturo.
Né al cucinier perdona, a cui non calse
tanta salute. A te ne’ servi altrui
470ragion fu data in quel beato istante
che la noia o l’amore ambo vi strinse
in dolce nodo; e pose ordini e leggi.
Per te sgravato d’odioso incarco
ti fia grato colui che dritto vanta
475d’impor novo cognome a la tua dama;
e pinte strascinar su gli aurei cocchi,
giunte a quelle di lei, le proprie insegne:
dritto sacro a lui sol, ch’altri giammai
audace non tentò divider seco.
480Vedi come col guardo a te fa cenno
pago ridendo, e a le tue leggi applaude;
mentre l’alta forcina in tanto ei volge
di gradite vivande al piatto ancora.
     Non però sempre a la tua bella intorno
485sudin gli studi tuoi. Anco tal volta
fia lecito goder brevi riposi;
e de la quercia trionfale all’ombra
te de la polve olimpica tergendo,