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ii - il meriggio 207


la tua bella ne dica. Empiono, è vero,
il nostro suol di Cerere i favori,
che per folti di biade immensi campi
ergesi altera; e pur ne mostra a pena
565tra le spighe confuso il crin dorato:
Bacco e Vertunno i lieti poggi e il monte
ne coronan di poma: e Pale amica
latte ne preme a larga mano, e tonde
candidi velli, e per li prati pasce
570mille al palato uman vittime sacre:
sorge fecondo il lin, soave cura
di verni rusticali: e d’infinita
serie ne cinge le campagne il tanto
per la morte di Tisbe arbor famoso.
575Che vale or ciò? Su le natie lor balze
rodan le capre; ruminando il bue
per li prati natii vada; e la plebe,
non dissimile a lor, si nutra e vesta
de le fatiche sue: ma a le grand’alme,
580di troppo agevol ben schife, Cillenio
il comodo ministri, a cui le miglia
pregio acquistino e l’oro; e d’ogn’intorno
— Commercio, — risonar s’oda, — commercio. —
Tale da i Ietti de la molle rosa
585Sibari un di gridar soleva; e i lumi
disdegnando volgea da i frutti aviti,
troppo per lei ignobil cura; e mentre
Cartagin, dura a le fatiche, e Tiro,
pericolando per l’immenso sale,
590con l’oro altrui le voluttá cambiava,
Sibari si volgea su l’altro lato;
e non premute ancor rose cercando,
pur di commercio novellava e d’arti.
     Ma chi è quell’eroe che tanta parte
595colá ingombra di loco; e mangia e fiuta
e guata; e de le altrui fole ridendo