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16 | alcune poesie di ripano eupilino |
XXII
Accendi il foco, Elpin, mentr’io mi bendo
de le candide fasce il crine e ’l petto;
e non temer del mio cangiato aspetto,
or che ’l magico nume in sen comprendo.
Ecco la mano a la sacr’ara i’ stendo,
e ’l vergili zolfo in su la fiamma getto,
e tre grani d’incenso indi vi metto,
il suono alzando de’ miei versi orrendo.
Giá da l’acceso aitar par che si sciolga
il fumo inverso il ciel salendo, e parmi
che ’l ciel commosso le mie preci accolga.
Or quella fiera, che non vuol mirarmi
per continuo pregare, a me si volga
almen per forza de’ possenti carmi.
XXIII
I’ muoio alfine, alfine, o cruda Eumolpi,
su quest’umide reti entro a la barca
giacer mi vedi, e te non fia ch’io incolpi,
che d’un freddo sospir mi se’ ancor parca.
Non temer piú del mio tridente i colpi,
squamoso gregge; alfin colui sen varca
ad altro lito, che di tenie e polpi
ogni nassa traea dall’onde carca.
Toglietevi, o compagni, or le mie canne
(ah mille volte le Ior cime a voi
veder curve sia dato!) e le mie reti.
Questo legnetto sol meco verranne,
per varcare, atra Stige, i gorghi tuoi,
quando Caronte a un si infelice il vieti.