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229 il giorno


che giá pago di te ratto a traverso
e de’ trivi e del popolo dilegui.
Giá il dolce amico tuo nel cor commosso,
170e non senza versar qualche di pianto
tenera stilla, il tuo bel nome or legge,
seco dicendo: — Oh ignoto al duro vulgo
sollievo almo de’ mali! Oh sol concesso
facil commercio a noi alme sublimi
175e d’affetti e di cure! Or venga il giorno
che si grate alternar nobili veci
a me sia dato! — Tale sbadigliando
si lascia da la man lenta cadere
l’amata carta; e te, la carta e il nome
180soavemente in grembo al sonno oblia.
     Tu fra tanto colá rapido il corso
declinando intraprendi ove la dama
co’ labbri desiosi e il premer lungo
del ginocchio sollecito ti spigne
185ad altre opre cortesi. Ella non meno
all’imperio possente, a i cari moti
dell’amistá risponde. A lei non meno
palpita nel bel petto un cor gentile.
     Che fa l’amica sua? Misera! Ieri,
190qual fusse la cagion, fremer fu vista
tutta improvviso, ed agitar repente
le vaghe membra. Indomito rigore
occupolle le cosce; e strana forza
le sospinse le braccia. Illividirò
195i labbri onde l’Amor l’ali rinfresca;
enfiò la neve de la bella gola;
e celato candor da i lini sparsi
effuso rivelossi a gli occhi altrui.
Gli Amori si schermiron con la benda;
200e indietro rifuggironsi le Grazie.
In vano il cavaliere, in van lo sposo
tentò frenarla, in van le damigelle