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poesie serie | 21 |
XXXII
[Imitato da Anacreonte, ode XV]
Io di Lidia il gran re non mi rammento,
ina, spregiator di ricche gemme e d’ori,
della mia sorte umil vivo contento,
e non invidio a’ re gli ampi tesori.
Sol concesso a me sia la guancia e ’l mento
cosparger d’odoriferi liquori,
ed allo specchio d’un bel fonte intento,
cingere il crin di porporini fiori.
L’oggi m’importa, e l’avvenir non curo:
perciò questi miei di labili, o tu
Bacco, sien tuoi; ch’a te bevendo il giuro,
prima ch’un qualche mal mi dica: — Orsú,
Anacreonte, andiamo al regno scuro;
getta’l bicchier; non s’ha a bever piú. —
XXXIII
[Imitato da Anacreonte, ode XXIII]
S’io mi credessi che con or la Morte
si potesse tener lontan da noi,
vorrei ben, dall’occaso a’ liti eoi,
ir cercandomi ognor piú amica sorte;
e quand’ella picchiasse alle mie porte,
le direi: — Piglia, e va pe’fatti tuoi! —
Ma, se fuggir non posso i colpi suoi,
a che piangendo far l’ore piú corte?
Dunque, poiché cosí fatai destino
io non posso evitar, mia cura sia
conversar cogli amici, e ber del vino;
o su le piume, colla donna mia,
passar scherzando i di felici, infino
che la Parca ne sciolga ingorda e ria.