Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
20 | alcune poesie di ripano eupilino |
XXX
[2]
Né d’erba né di rio vaghezza prende
il mio gregge svenuto, e si rimbosca;
e par che ’l suo pastor piú non conosca,
perché né i cenni né le grida intende.
Or su le balze perigliose ascende,
or entra in tana insidiosa e fosca;
e giurerei che piú non riconosca
qual dell’erbette giove e quale offende.
Lasso! ben il diss’io quel di, che alzarse
vidi l’infame strega alto una spanna
da terra con le chiome orride e sparse,
ch’ella mandò fuor della sozza canna
terribil voce; e allor la luna sparse
raggio di sangue in vèr la mia capanna.
XXXI
[Imitato da Mosco]
Deposta un giorno l’orrida facella
e quell’arco crudel che i petti schiaccia,
prese Amore in ispalla una bisaccia
e un pugnitoio in cambio di quadrella:
e posta sotto il giogo una vitella,
o un giovenco che fosse, o due, li caccia
per lo incolto terren con una faccia
d’un villan che si stizza ed arrovella.
Quasi ’l bellico a’ numi si sconficca
d’Amor ridendo, che l’aratro muove
e la semenza per le zolle ficca;
quand’e’, rivolto al ciel, grida: — Ser Giove,
o fa di messe questa terra ricca,
o ch’io di nuovo ti converto in bove. —