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poesie serie | 19 |
XXVIII
Giá s’odon per lo cielo alti rimbombi
dei fulmini sonanti, e vanno preste
l’oscure nubi a radunar tempeste.
Volgete, amiche, pur, volgete i rombi.
Tu dispogliati, o Nisa, infino ai lombi,
siccome i’ faccio ancor, d’ogni tua veste:
e mentre i’ parlo alle ner’ombre e meste,
volgete, amiche, pur, volgete i rombi.
Ecco, cercan ricovro che gli scampi
greggi e pastor sotto le querce antiche,
e paventan le ninfe i tuoni e i lampi.
L’uve di Tirsi e di Damon le spiche
son peste e tronche per le vigne e i campi.
Fermate pur, fermate i rombi, amiche.
XXIX
[I]
Colei, Damon, colei che piú d’un angue
intorno al crine scapigliato intesse,
e con note ora chiare ed or sommesse
può trar fuor de la tomba un corpo esangue;
colei ch’unge di caldo e vivo sangue
l’uova di rospo ancor fumanti e spesse,
e la penna funèbre aggiunge ad esse
de la strige che ancor palpita e langue;
colei l’erbe che in Coleo ed in Campagna
Circe opráro e Medea, coll’ossa incende
di bocca tolte a la digiuna cagna,
e con queste il mio gregge infermo rende,
si ch’errando sen va per la campagna,
né d’erba né di rio vaghezza prende.