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poesie serie 31


LII

     Egli è pur vero, Eipin, ch’altra donzella
vie piú vaga di Nice Iddio far puote:
dunque perché in lei posi, ed altre ignote
beltá non cerchi assai miglior di quella?
    E poiché vista o nell’idea tua snella
donna pinto hai di piú vermiglie gote,
di piú begli occhi e piú soavi note,
vuo’ tu dir che costei sia la piú bella?
     No certamente; ché la man di Dio
non s’abbrevia giammai; e in infinito
meta tu troveresti al tuo disio.
     Dunque, s’esser non puote un bel compito,
di cui l’alma gentil solo ha desio,
in Dio lo cerca, ove ogni bel sta unito.

LII

     Qual fu, qual fu la scellerata mano
che le sacre di Pindo alme parole
ardi di violare, e ’l dritto e sano
pensier volgere in torte insulse fole?
    Chi fu colui che ’l calamo profano
osò condurre in su l’elette e sole
pure voci del bel fiume toscano,
d’onde tanto piacer scorrer ne suole?
     O Muse, voi che le sorelle audaci
cangiaste in piche, a che stavate intente,
quando costui venne a turbar vostr’acque?
     E tu, Febo, il gran telo ove si giacque,
che le zanne confisse un di mordaci
al figliol della Terra empio serpente?