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poesie piacevoli 39


LXIII

     Io, Nencia, sono stat’ieri a Fiorenza,
e t’ho comprato un bel gammurrin bianco;
e, se tu arai un po’ di pazienza,
un gonnellino i’ vo’ comprartel’anco.
    Ornai di crazie son rimasto senza,
perciocch’io compro e pago come un banco;
ma ho nascostp uno staio di semenza,
e quattro lire chiapperolle almanco.
     Per san Giovanni adunque il gonnellino
tu l’averai indosso senza fallo,
che tu proprio parrai un angiolino;
     ma ricordati, ve’, di conservano
per la memoria del tuo gaveggino,
che ti vuol bene, al corpo di cristallo!

LXIV

Ah, Tofan, quella Gora, quella Gora,
tu non la vuo’ lasciare, sguaiataccio!
Che si, che s’io l’affilo un coltellaccio,
quell’animaccia te la cavo fuora!
Oh che tu poss’andare alla malora!
che diancin ha’ tu seco, impiccatacelo?
S’io ti sbarro uno schioppo nel mostaccio,
che si che le starai lontano allora?
Io vo’ che tu la lasci pe’ suo’ fatti;
se no, le voglion essere percosse:
e sarén sempre come cani e gatti.
Fa ch’io ti vegga, che ti rompo Posse
con un baston ch’a le spalle s’addatti;
eli’ io non posso piú star saldo alle mosse.
E ben che il duca fosse,
quando mi salta, ve’, il moscherino,
lo vorrei sbusecchiar per un quattrino.