Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. I, 1929 – BEIC 1889888.djvu/65

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capitoli 59


     e che, se noi abbiamo da spedire
5qualche nostro affaruzzo di presente,
bisogna farlo prima di morire;
     perché m’ha detto ancor di molta gente,
che quando un uomo ha tirato le calze,
e’ non c’è modo di far piú niente,
     10Però conviene ch’io mi sbracci e scalze,
e ch’io venga con quattro miei versacci
a trovarvi costi fra queste balze,
     e intanto ch’io son vivo e fuor d’impacci,
meni le mani come i berrettai,
15e ch’io faccia ben presto e ch’io mi spacci,
     prima che tornin piú fitti che mai,
e mi vengano sopra difilato,
e m’empiano d’un fregolo di guai.
     Perché, se voi lo sapeste il mio stato,
20parria ch’io vi contassi delle baie,
e vi direi il ver, signor curato.
     Ma queste ciarle sieno le sezzaie:
ne parleremo poi, quando non ci abbia
dell’altre cose piú gioconde e gaie.
     25E perch’io paio un gufo in una gabbia,
o in su la gruccia a far rider gli uccelli,
mi rincresce scoprirmi, e monto in rabbia.
     Intanto io vi ringrazio di que’ belli
saluti, che di spesso voi mi fate,
30or per bocca di questi ed or di quelli.
     Ma certo, signor caro, v’ingannate
a tenermi per un virtuosaccio,
a darmi quelle lodi sperticate;
     ch’io veramente sono un suggettaccio
35che studio solamente il Pecorone,
e in altre cose non vaglio uno straccio.
     Io sono, verbigrazia, un compagnone
che mi piace di ridere e gracchiare
co’ miei amici in conversazione.