Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. II, 1929 – BEIC 1890705.djvu/133

Da Wikisource.

iii - nel dì di san bernaerdino sanese 127


     Ma perché il rito che da Ambrosio nacque
vuol questo giorno a la grand’alma sacro
che or si disseta nelle divin’acque?
     Or io il dirò: Aletto che con acro
65viso mira il ben nostro, ave’ a’ mortali
de la Pace rapito il simulacro;
     e Italia, oppressa da infiniti mali,
vedea piantar l’un figlio a l’altro in seno
i caldi de l’altrui sangue pugnali.
     70Scorrea la furia e il rabido veleno
le terre tutte; si che l’una ormai
sotto il ferro de l’altra venia meno.
     Né tu però fuggisti i comun guai,
o cara patria mia, che dal canuto
75verro il nome famoso e nobil hai.
     Tal eri forse tu qual fu veduto
il Lazio allor che lo sospinse al sangue
quella implacabil’anima di Bruto.
     Ma Bernardin, che in pulpito non langue,
80tra lo zelo inquieto la man porse,
e in piedi alzò la bella Pace esangue.
     E giovine puranco a Milan corse,
e partissi, e tornò; e dèi suo duce,
impavido parlando, il fasto morse;
     85e, al balenar di sovrumana luce,
cacciò l’empia Discordia, a lei mostrando
l’immortai nome che in trionfo adduce.
     In cambio di vessillo o targa o brando,
feroci insegne! allor ne l’alto appese
90il nome di cui Stige odia il comando;
     che ’l cittadin devoto con sospese
luci mira talor, pensando a lui
che, per noi ricomprar, sua vita spese;
     poi, colla man cenno facendo altrui:
95— Quest’è fors’opra, — dice, — del gran divo
cui fur cari i nostr’avi, ed or siam nui. —