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ii - ascanio in alba 13


a le sponde latine, or vive in cielo,

altro dio fra gli dèi:
e soave mia cura oggi tu sei.
Ascanio. Madre, che tal ti piace
esser da me chiamata, anzi che dea,
quanto ti deggio mai!
Venere. Giá quattro volte, il sai,
condusse il sol su questi verdi colli
il pomifero autunno,
da che al popolo amico il don promisi
de la cara mia stirpe. Ognuno attende,
ognun brama vederti: all’are intorno
ognun supplice cade: e il bel momento
affretta ognun con cento voti e cento.
          L’ombra de’ rami tuoi
               l’amico suolo aspetta.
               Vivi, mia pianta eletta:
               degna sarai di me.
          Giá questo cor comprende
               quel che sarai di poi;
               giá di sue cure intende
               l’opra lodarsi in te.
Ascanio. Ma la ninfa gentil che il seme onora
d’Èrcole invitto?... Ah di’... la sposa mia,
Silvia, Silvia dov’è? Tanto di lei
tu parlasti al mio cor; tanto la fama
n’empie sua tromba; e tanto bene aspetta
da le mie nozze il mondo...
Venere.   Amata prole,
pria che s’asconda il sole,
sposo sarai de la piú saggia ninfa
che di sangue divin nascesse mai.
Giá su i raggi dell’alba in sonno apparvi
ad Aceste custode
de la vergine illustre. Egli giá scende
dal sacro albergo: e nf nnnofo felice,