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XII
A GIANCARLO PASSERONI
Frammento.
O meco infin da gli anni miei piú verdi
congiunto di virtú, d’amor, di studi,
Passeroni dabben, di’, non ti senti
dispettosa pietade e riso acerbo
5su le labbra e nel cor, quando tu ascolti
la temeraria Italia alto rotnore
menar parlando di scienze e d’arti?
Apri libero i sensi. E non t’è avviso
ch’ella or ne parli come il macilento
10popolo, a cui falli la messe, parla
sempre di pane; o nell’estiva ardente
siccitá parla ognor di pioggia e d’acqua?
Certo che si, però che tu sagace
penetri a fondo con la mente; e in oltre
15vedi, se gli occhi tu rivolgi intorno,
10stato de le cose, avverso ahi troppo
a quel ch’era di giá. Ma i detti nostri
beffa insolente il giovin, che pur ieri
scappò via da le scuole, e che provvisto
20di giornali e di vasti dizionari
e d’un po’ di francese, oggi fa in piazza
11letterato, e ciurma una gran turba
di sciocchi eguali a lui. Odi ch’ei dice:
— O vecchierelli miei, troppo è giá nota
25l’usanza vostra: disprezzar vi giova
l’etá presente, ed esaltar l’etade