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sonetti 287


LXXXVIII

3.

     Oh Morte, oh bella Morte, oh cara Morte,
tu vieni or dunque, e a me dolce sorridi?
Lascia che a questa man fredda m’affidi,
che sola involar puommi alla mia sorte.
    Affretta; usciam da queste odiate porte
di vita, usciam. Non odi, ohimè, con stridi,
quasi di drago per sabbiosi lidi,
l’atra mia cura sibilar piú forte?
     Ohimè! fin qua implacabile e tenace
malinconia? Oh Morte, ecco la fossa;
scendiam velocemente a cercar pace.
     Pace, orror queto, pace, o non mai mossa
sepolcral aria ove ogni cura tace;
pace, o ceneri miste, o teschi, o ossa!

LXXXIX

CONTRO IL BACO DA SETA

     Péra colui che dall’estraneo lito
portò il verme infelice ond’uotn si veste!
Non bastav’ei ch’ogni nefando rito
spargesse l’oro in terra, unica peste?
    Per lui, spiegando Nemesi le preste
ali, a noi volta, minacciò col dito;
e voi, o santo dio Termin, sorgeste
curvo e pesante dall’antico sito.
     Or l’avido villan sgombra e disperge
le belle opre d’Aracne; e solo ha cura
del nuovo d’ogni mal barbaro germe:
     perocché l’uom per lui sol cade o s’erge:
perocché l’uom, di Dio alta fattura,
or tutti i suoi ripon pregi in un verme.