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286 sonetti


LXXXVI

SULLA MALINCONIA

1.

     Occhio indiscreto, che a cercar ti stanchi
da qual d’uomo o di sorte o di ciel colpo
la cura usci, che quasi a scoglio polpo
par che intorno al mio cor lasso s’abbranchi;
    spesso nel volto, è ver, ne’ membri stanchi
esce furtivo il duol ch’io sgrido e incolpo:
ma, sebben mi scoloro e scarno e spolpo,
non fie mai che al tuo sguardo il cor spalanchi.
     Ragion l’arcano mio avvinse a un sasso;
e tal nel fondo del mio sen sommerse,
che d’occhio acume non può gir si basso.
     Mio duol, richiama tue orme disperse,
ti rannicchia e ti cela entro al cor lasso
a le viste degli uomini perverse.

LXXXVII

2.

     Occhio indiscreto, or taci, e piú non angi
con dimande importune il mio cor lasso!
Piú facil ti saria spezzare un masso:
taci, o piuttosto, se sai pianger, piangi.
    Lascia che in pace il mio dolor mi cangi,
quasi novella Niobe, in un sasso;
lascia che fino al duro ultimo passo
l’erma tristezza mia mi roda e mangi.
     Se, occhio, amico mi sei, sol ti sia detto
che nulla sceleraggine ha consorte
l’alta malinconia onde son stretto.
     Ma tu parli, o mio cor? Di durar forte
giá ti se’ stanco? Deh tu vieni, e in petto
questo debole cor strozzami, o Morte!