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sonetti 285


LXXXIV

IL RICCO OZIOSO E IL POVERO LABORIOSO

     — Si, fuggi pur le glebe e il vomer duro
ch’io ti die’ in pena de l’antico fallo;
credi però dell’oro ergerti un vallo
ove tra gli ozi tuoi viver securo?
    Tristo! non sai ch’io’l mio furor maturo,
ma non l’obblio giammai? che piedestallo
mal fermo ha la tua sorte? e che in van dallo
stento t’invola impenetrabil muro? —
     Dio cosí parla; e ratto move a danno
de’ possenti le cure atre, e quel crudo
laniator degli uman petti affanno.
     Bella Innocenza intanto il braccio ignudo
sul vomer posa, e fra sé dice: — Ond’hanno
tal dolcezza le stille auree ch’io sudo? —

LXXXV

MALI CAGIONATI ALL’EUROPA DALLE CONQUISTE

     Ecco la reggia, ecco de’ prischi Incassi
le tombe insanguinate, ecco le genti
di tre parti de l’orbe intorno a i massi
ancor di scelerato oro lucenti.
    Tu America, piagnendo gl’innocenti
occhi su l’arco tuo spezzato abbassi;
tu sudi, Affrica serva: e co i tormenti
sopr’ambe minacciando Europa stassi.
     Ma la vostra tiranna ecco attraversa
il mar con sue rapine; ed ecco io veggio
vostri demòni da le triste prore
     discender seco; ed ecco in sen si versa
col rapito venen rabbia e furore
e guerra e morte. Or qual di voi sta peggio?