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284 sonetti


LXXXII

3.

     Sonami in sulle labbra, o dolce nome,
che poi dolce eccheggiando al cor mi torni:
nome altero e sovran, chi può dir come
rendi gli oscuri di belli et adorni?
    Tu, nei terren chiamato ermi soggiorni,
rendi del viver mio brevi le some;
tu il fier nimico mio empi di scorni
e a me coroni vincitor le chiome.
     Non cosí ’l buon nocchier tra tema e duolo
volge gli occhi alla stella amata e pia
che lui fa certo e gli dimostra il polo;
     com’io vèr te, sola speranza mia,
tra le dubbie contese; e vo te solo
te sol chiamando, o bel nome, Maria.

LXXXIII

PER SANTA CATERINA MORIGGiA DA PALLANZA

     La verginella che dal ciel condotta
fuggissi al monte, a viver casto e pio,
non di cantici ognor l’ermo pendio
o di sospiri fe’ sonar la grotta;
    ma, quando il sol piú scalda e quando annotta,
a lavorar suo campicello uscio;
e non mai di sé grave al suol natio,
a bene orare e a bene oprar fu dotta;
     e poi de’ poverelli asciugò il pianto
con acqua e pane, e li raccolse al seno,
utile a gli altri e al suo Signor piú cara.
     Popol, che a lei consagri incenso e canto,
fa’che gl’inni e l’odor soli non siéno;
ma ad imitar le sue bell’opre impara.