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sonetti | 293 |
XCIX
A CLORI
(Maria Beatrice d’Este?)
Volgi un momento sol, volgi un momento,
Clori divina, sul mio stato acerbo
l’onnipotente tuo occhio superbo:
e calma in parte il mio crudel tormento;
e vedrai tosto, a quel girar, lo spento
estro avvivarsi; e quel che in mente io serbo
foco menar gran vampa; e acquistar nerbo
l’ingegno per la doglia stanco e lento;
e qual torrente giú precipitarmi
dal labbro i versi; e al mio piè l’Astio nero
prostèrnersi, e la Gloria incoronarmi,
e la Terra devota al tempio altero
offerir del tuo nume e bronzi e marmi,
dicendo: — A te che ravvivasti Omero. —
C
IN LODE DI BELLA DONNA
Natura un giorno a contemplar discese
di sua maestra man l’opre piú belle,
ma, non trovando un bel compiuto in quelle,
volle provarsi, e un lavor nuovo imprese.
Dal giglio e dalla rosa il color prese,
e due pennelleggiò guancie novelle;
indi, trascelti dalle ardenti stelle
i piú bei raggi, due pupille accese.
Poscia una bianca fronte e un bel crin d’oro,
due rosei labbri ed un celeste viso
e tutto alfin compiè l’alto lavoro.
Ma quando il vide e ne scoperse il vanto,
piacque a se stessa, e con superbo riso
— No, —disse, — io non credea di poter tanto! —