Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/100

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dei poco mio studio, dovrá dirsi che anche questo fosse descritto su quel catalogo dell’anno 1745, o forse che il non essere io presente alla sua mente mostra ch’io nella sua scuola non abbia fatto cose degne, ch’egli se ne ricordi. Ma nondimeno che imporla il rinfacciarmi questo? Non dice egli medesimo che si può diventare una volta quel che prima non s’era stato? e ch’egli può aver avuto degli scolari, «i quali ad altro tempo serbavano far comparsa del loro ingegno e dar pruove del loro sapere»? Vi par egli che sia cosa conforme alle regole della buona creanza che il precettore, senza veruna occasione, rinfacci di simili cose alle persone giá adulte e che giá da tanto tempo abbandonarono la sua scuola? Queste sono di quelle grossolane e plebee maniere e di quel genere di rimproveri, che non bisogna lasciar conoscere a tanta civile e nobile gioventú, che frequenta le nostre scuole, la quale, udendole da’ suoi maestri, non può a meno che non le approvi e non le imiti; e, dato che n’esca colla mente adorna di cognizioni, nulla non le varrá, quando non abbia insieme purgato e ingentilito il costume, imperocché molto piú importa il renderci cari che ammirabili alla societá. Io, a dir vero, non nego ciò che il padre Branda accenna, e che i suoi fautori, con termini ancora piú incivili, hanno sparso per Milano. Purtroppo, allorché frequentai da giovinetto le nostre scuole di Santo Alessandro, male corrisposi alla diligente cura de’ miei poveri parenti, e poco attesi a quello ch’essi chiamavano studio. Nondimeno, benché io non sia giammai salito tra’ precipui campioni del ludo litterario, non sono per tutto ciò rimasto tra la ingloria turba degl’indisciplinabili adolescentuli. E potrei ancora ad un bisogno mostrarvi i superbi trofei che, d’una in altra classe passando, furono da’ comprofessori del padre Branda a me decretati. Egli è bensí vero ch’egli non potrá veder pendere alle pareti de’ portici scolastici il mio nome, accompagnato di qualche ingegnoso emblema e adorno d’una cornice dorata, perché, come ottimamente sa quel suo correligioso mio benefattore, i miei parenti non ebbero mai danari da gittar via.