Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/118

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10 ho grande obbligazione al padre Branda, perché egli siesi voluto compiacere di dichiarar, col rispondermi, che le cose da me scritte non sono né ribalde né insolenti, e che «ho portato ragioni, ed ho scritto in causa contro le cose giá stampate». Ben è vero che questa lettera, che noi abbiamo sinora esaminata, non è giá la risposta, ma, come dicemmo, il preambolo di essa; ma, avendomi egli di giá molte volte promesso pubblicamente di volermi rispondere, mostra ch’ei non riponga le cose mie tra ’l numero di quelle «ribalde ed insolenti, delle quali non sarebbesi l’atto motto alcuno»; di che io sono estremamente contento. Ad ogni modo, io non son contento ch’ei riponga in quel numero «il libro in lingua e versi milanesi» del signor Balestrieri, perocché mi pare che, ciò raccendo, gli si usi ingiustizia. Osserviamo per un momento la nota posta al piè di quest’ultime due pagine. Egli è vero ciò che il padre Branda scrive, cioè che, anche prima che si stampasse, io lessi l’operetta del signor Balestrieri, ch’egli ebbe la bontá di comunicarmi, a quella guisa che il padre Branda comunicherá le sue cose all ’ «amatissimo suo collega» 11 padre Barelli, c questi a lui vicendevolmente; ma io non vi ho trovati, come il padre Branda dice, trascurati «i miei precetti di moderazione», né mi tengo a vergogna né ad infamia lo essere lodato in simili componimenti. Anzi, se la gloria dopo la morte fosse qualche cosa, io avrei piacere di avere a durare immortale in quella graziosa operetta, siccome vi durerá immortale il padre Branda. Ho poscia veduto che i tre pubblici incorrotti e rispettabili censori de’ libri, che l’hanno esaminata, sonosi conformati, nelle loro rispettive approvazioni, al giudizio ch’io ne avea giá fatto; e mi son consolato che né l’amicizia, né l’interesse della causa comune non abbiami fatto travvedere. Male adunque e molto imprudentemente ha operato il padre Branda, tacciando di «famoso libello» quest’operetta del signor Balestrieri, perocché può sembrare ch’egli abbia in questa guisa offeso l’onestá e la giustizia degli stessi tre censori, anzi i medesimi rispettivi tribunali nella persona de’ loro ministri. Che