Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/180

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con infinita diligenza raccolse certi poemi che andavano tronchi ed oscuri per le province della Grecia, e che il figliuolo ordinò che fosser cantati a tutta la Grecia ne’ giuochi del popolo e della gioventú? Voi m’intendete, o ateniesi. Omero, Omero fu quegli che sparse tanta luce in Atene, che nobilitò di tanti difficili tesori la vostra patria, che vi fece conoscere il bello, che vi accostumò a gustarlo. Che altro erano mai, prima che le costui opere fossero divulgate, i lavori del nostro scarpello e del nostro pennello, che altro erano mai, fuorché mutoli sforzi di quella naturale tendenza che ha l’uomo all’imitare, fuorché aridi contorni dalla sgraziata precisione delle linee presentati agli occhi nostri? Noi sentivamo, è vero, mancar qualche cosa alle anime nostre; noi sentivamo che, per rimedio della nostra noia, ci doveva esser qualche cosa di piú tranquillo dell’amore e dell’ambizione; che ci era un bello creabile anche da noi; che, fra i lavori della nostra mano e fra gli edifici da noi innalzati, ve n’era uno, ve n’era una parte che agli occhi nostri piaceva, ma non si poteva da noi indovinare come ciò fosse. Tornava il nostro scarpello ad imitare; ma le sue imitazioni non avevano né moto né vita. Noi andavamo in traccia di nuovi ornamenti ; ma questi ornamenti o erano un nuovo capriccio che ci dispiaceva, o un’imitazione de’primi che ci erano dispiaciuti. Ma, quando questo cieco, per opera di Pisistrato e del figliuolo, fu a voi ben noto, o ateniesi, fu egli che tolse il velo dagli occhi vostri, che lo squarciò dal viso della natura, e vi disse: — Mirate, scegliete, imitate: qui sta il bello. Ma questo corpo è troppo immenso, e voi gli siete troppo vicini per veder la bellezza del suo tutto: approssimate le belle parti disperse, componete le simili, e colle vostre mani medesime creerete un nuovo bello. — Cosí mi sembra che Pericle dica; e tale fu veramente l’opinione universale de’ greci, i quali non solo giudicarono che da Omero derivasse in quelle famose repubbliche il bongusto in tutte le belle arti, ma eziandio i piú sublimi principi delle scienze, e tutta quanta insieme la prudenza delle cose della guerra e di quelle della pace. Ma, comunque sia di tutto ciò, a noi basti di