Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/182

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gusto che l’ha da proteggere. Vi fioriscono giá e vi gareggiano mirabilmente le belle arti; ma ecco che ben presto i poeti, sedotti dalla erudizione di quella corte e di que’ bibliotecari, abbandonano l’espressione della natura per correr dietro alle sentenze ed alle scientifiche allusioni ; lasciano il vero per la novitá, e cadono, come d’un precipizio nell’altro, dall’aridezza nella puerilitá, dalla puerilitá nella bizzarria, e da questa in una ridicolosa stravaganza. Smarrito il bongusto che eseguisce, si smarrisce quello che giudica; e la corte affascinata, dimenticando le grazie di Teocrito, applaude alla saccenteria di Nicandro ed alle mostruositá d’Apollonio e di Licofrone. Questa generale depravazione della poesia contamina immediatamente le altre sorelle; e le arti della Grecia, che erano corse in Egitto a procacciarsi un asilo, v’incontrano in poco tempo la loro rovina. Né altrimenti die nell’ Egitto avvenne in Roma. La avevano, egli è vero, e Marcello e Fulvio Fiacco e Lucio Quinzio e Scipione e Caio Verre e molti altri popolata delle statue piú maravigliose de’vinti e depredati greci; ma ciò che importa? Non prima che Cicerone ed Orazio e Virgilio e Pollione mostrassero col loro bongusto il pregio e la sublimitá de’ greci esemplari; non prima che costoro insegnassero, col loro esempio, co’ lor precetti e colla lor direzione, come i grandi ingegni imitar debbano i grandi originali ; non prima che Mecenate avesse introdotto nella corte d’Augusto, per mezzo della conversazione di tanti uomini illustri, quel senso squisito e delicato in materia di belle lettere che vi giunse a cosí alto segno; non prima di tutto ciò potè Roma vantarsi d’aver nulla prodotto, che paragonar si potesse colle opere della Grecia, in genere d’edifici e di statue. Ma appena, sotto a Tiberio, a Caligola, a Claudio, cominciano a decadere le belle lettere, a corrompersi l’eloquenza, a tacere la gioconda e placida filosofia de’ tempi di Cicerone e d’Orazio, e infinite sètte di filosofi disputatori ad assordar gli uomini e le statue di Roma, ecco che l’architettura e la scultura contraggono i vizi della corrotta eloquenza; e, mentre questa, concettosa ed ampollosa, si gonfia, quelle, dal canto loro, giganteggiano in ismisurati colossi; quasi che, come altri disse,