Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/280

Da Wikisource.

nato in quella provincia che ebbe la gloria di dare a tutta l’Italia la lingua nobile e comune, si poteva eccellentemente comporre in verso ed in prosa. Anzi, siccome i toscani de’ tempi poco innanzi a lui succhiavano essi col latte la lingua, cosí poca o niuna briga pigliavansi di porvi intorno qualche studio, sia nella scelta delle parole, sia nel modo di accozzarle ed usarne regolarmente, come fatto avevano i primi scrittori della lingua; questi fu che ne raccolse e ne pubblicò le regole, ad istruzione non meno de’ toscani medesimi che degli altri italiani. L’Italia tutta va debitrice massimamente a costui della divolgazione e dell’uso generale, che poi, e scrivendo e parlando, si fece della volgar lingua. Imperocché egli, e col suo esempio e colle pratiche fatte e con lo zelo continuo dimostrato per essa, non solo animò gli altri italiani ad usarla trattando ogni sorta di materie, ma si può dire con veritá ch’egli sia stato principal cagione che i toscani stessi seguitassero a farlo dietro agli eccellenti modelli de’ primi loro scrittori. Nello stesso tempo che il giovane Bembo andava, per cosí dire, predicando per tutta l’Italia la volgar lingua e l’eccellenza de’ suoi antichi scrittori, risorser piú che mai furiosi i pedanti e le fanatiche scuole sempre nemiche delle novitá, benché utili ed innocenti. E’ volevano pure che non si avessero a scoprire al volgo i santuari della loro dottrina, profanandoli con una lingua che sarebbe intesa anche dalle persone idiote da un capo all’altro dell’ Italia. Per maggiore sventura, trovavan costoro qualche plausibile fondamento onde screditare anche in Toscana e in Firenze medesima i’uso dello scrivere nella volgar lingua, e mostravano di temere che la gioventú, troppo vaga di questa novitá, non abbandonasse del tutto lo studio delle lingue greca e latina. Introducevansi ancora, come suol farsi per abuso, i motivi della religione e del buon costume, dicendo che non era conveniente che si lasciasse invalere l’uso di questa lingua, nella quale ben presto si sarebbe osato trattare anche le cose sublimi della teologia e delle Scritture, quando non si fosse posto freno alla tracotanza de’ novatori; e che la gioventú sarebbe divenuta scostumata, ritornando alla lettura del Boccaccio e del Petrarca ed avvezzandosi ad imitarli, trattando