Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/348

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Deli! perché mi è egli cosí limitato il tempo e lo ingegno, ch’io non possa ragionarvi come e quanto vorrei di una virtú eli’è la cagione d’ogni nostro bene presente e la base di tutte le nostre future speranze? d’una virtú, alla quale non solo spezialmente ne obbliga la legge, ma la natura stessa ne invita, e ne conduce e ne sprona il nostro proprio interesse? d’una virtú che, quale altra forza di attrazione, accosta e lega insieme gli animi degli uomini, e fa nascere nel mondo morale quella stessa meravigliosa armonia che nel materiale veggiamo? d’una virtú finalmente, che o, secondo la filosofia, con avventuroso equivoco ne conduce ad amar noi stessi negli altri, onde agli uni ed agli altri risulta sicurezza e felicita; o, secondo la religione, ci fa amare nei nostri prossimi il nostro Dio, e, quel eh’è piú, solleva noi creature mortali a nobilissimo e delizioso commercio col sommo nostro principio? Ma io sarei troppo lungo, e nulla direi nondimeno, se io volessi soltanto scorrere i vari capi di questa si nobile e si dolce materia. Permettetemi adunque che le circostanze di questo luogo destinato alle lettere, di questo di scelto per darne pubblico saggio, di voi, o signori, che le amate cotanto e le favorite, mi servano di pretesto per sottrarmi allo smisurato peso dello argomento, e m’invitino a ragionarvi della caritá per quella parte che gli uomini letterati risguarda. Quanto desiderabile cosa sarebbe mai che tutti coloro, che sortito hanno dalla natura uno ingegno adatto alle lettere, fossero stimolati allo studio ed allo scrivere non da una leggiere curiositá o da un vano amore di gloria, ma dalla caritá de’ suoi prossimi, de’suoi concittadini, del suo paese! Quanti inconvenienti non si verrebbono a schifare cosí, e di quanto maggior utile sarebbono le lettere e i letterati nel mondo ! L’uomo, che dalla semplice curiositá o dal solo amore della gloria è condotto alle lettere, non avviene giammai che non sia accompagnato nella sua carriera da uno stuolo di vizi, che a lui recano danno e notabilmente ostano all’altrui utilitá, la quale ogni uomo dabbene dee proporsi per iscopo principale del suo operare.