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II

PENSIERI

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Perché ci pare che i poeti sieno meglio riusciti a dipingere i tormenti dell’inferno che i piaceri del cielo o degli Elisi? Forse perché l’uomo conosce piú i dolori che i piaceri, la calamitá che la felicitá; perché i primi fanno piú impressione che i secondi sopra la fantasia del poeta; perché, prescindendo dall’arte del poeta, l’immagine de’ primi fa di sua natura piú impressione sopra di noi che quella de’ secondi; perché il poeta trova nella natura piú immagini sensibili per dipingere il dolore che per dipingere il piacere; perché nell’inferno hanno collocato piú mali fisici che morali, e quelli si posson meglio dipinger che questi; perché i piaceri morali, non essendo che una continovazione di tranquillitá, lasciano tranquillo il poeta, che tenta di renderli sensibili colle immagini, e queste immagini lasciano tranquillo il lettore. Ma i mali, o fisici o morali, benché di corta durata, fanno un’impressione violenta sopra il poeta, e il poeta, immaginandoli con molto maggior forza, fa provare al lettore un’impressione proporzionatamente violenta, perché il bene forse non è altro che una negazione del male, e la negazione non si può render sensibile che molto difficilmente.

Non potevano i poeti assegnare i piaceri fisici ai giusti, come hanno assegnato i mali fisici agli empi? Lo hanno fatto, ma imperfettamente, servendosi de’ piaceri piú tranquilli, perché si sono vergognati d’assegnare agli spiriti quel piacer fisico che fa la piú corta ma la piú violenta impressione sopra l’uomo. Ciò, quanto ai poeti pagani. Quanto ai cristiani, la religione da