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x - dialogo sopra la nobiltà 37


Nobile. Si; ma tu mi dèi concedere nondimeno ch’io merito onore da te in grazia di que’ tanti miei, che furono tanto celebri, tanto illustri e tanto grandi, come dianzi ti diceva.

Poeta. Io giurovi ch’io non ne ho udito mai favellare. Ma che hanno eglino però fatto cotesti sí celebri, sí illustri, sí grandi avoli vostri? Hanno eglino forse trovato la maniera del coltivare i campi; hann’eglino ridotto gli uomini selvaggi a vivere in compagnia; hann’egli scoperta la religione, o trovate le leggi e le arti, che son necessarie alla vita umana; hann’egli salvata la patria da qualche imminente calamitá; v’hanno egli fondato per puro amore di essa qualche utile e ragionevole stabilimento? S’egli hanno fatto niente di questo, io confessovi sinceramente che cotesti vostri avoli meritarono d’esser rispettati da’ loro contemporanei, e che noi ancora non possiamo a meno di non portar riverenza alla memoria loro. Or dite: che hanno eglino fatto?

Nobile. Tu dèi sapere che que’ primi nostri avoli, che piú d’ogn’altro contribuirono alla nobiltá delle nostre famiglie, altri prestarono de’ grandi servigi agli antichi principi, aiutandoli nelle guerre ch’eglino intrapresero; e perciò vennero da questi ricompensati largamente e renduti ricchi sfondolati. Altri, divenuti fieri per la loro potenza, riuscirono celebri fuorusciti, e segnalarono la loro vita facendo stare al segno il loro principe e la loro patria. Quali si dierono per assoldati a condurre delle armate in servigio or di questo or di quel)’altro signore, e fecero un memorabile macello di gente d’ogni paese e si fecero grandissimi tesori delle spoglie riportate da’ loro nemici. Quali, sia per timore d’essere perseguitati, sia che per le varie vicende si fossero scemate le lor facoltá, sia per desiderio d’esercitare tanto piú assolutamente la loro potenza, ritiraronsi a viver ne’ loro feudi, ricoverati in certe loro ròcche sí ben fortificate, che gli orsi non vi si sarebbono potuti arrampicare. Quivi non ti potrei ben dire quanto fosse grande la loro potenza: bastiti che nelle colline, ov’essi rifugiavano, non risonava mai altro che il fischio delle loro balestre o il tuono delle loro archibusate, e ch’eglino erano dispotici padroni della vita e delle mogli de’