Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. II, 1915 – BEIC 1892399.djvu/47

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x - dialogo sopra la nobiltà 41


per non andare a ritroso della moltitudine e comparir cinici o quacqueri, impazzano co’ pazzi, e non son avari di certe parole e di certi gesti, che voi altri richiedete e che la moltitudine vi concede, nondimeno in cuor loro pesano il rispetto e la stima sulla bilancia dell’orafo, e non la concedono se non a chi se la merita. Eglino fanno come il forestiere, il quale s’inchina agl’idoli della nazione, ov’egli soggiorna, per pura urbanitá; ma se ne ride poi e li beffeggia dentro di se medesimo. M’intendeste voi ora? Pensate voi ora che i vostri creditori, allorquando chini, come voti davanti un’immagine, pregavanvi della loro mercede, trammischiando ad ogni parola il titolo di «Eccellenza», avessero punto di venerazione per voi? Egli vi davano anzi mille volte in cuor loro il titolo di prepotente e di frodatore. E i vostri famigliari, che udivano e vedevano le vostre sciocchezze e le vostre bizzarrie taciti e venerabundi, oh quanto si ridevano in cuor loro della vostra melensaggine e della vostra stravaganza! E i filosofi e gli altri uomini di lettere, che v’udivan decidere così francamente d’ogni cosa...

Nobile. Deh! taci, te ne scongiuro; ché mi par proprio di morire la seconda volta, udendo quello che tu mi di’ e pensando ch’io ho aspettato nella sepoltura a sgannarmi della mia pecoraggine e della mia bestiale vanitá. Non ti par egli ch’io meriti compassione?

Poeta. No, io; anzi da questo momento io comincio a provare per voi quel sentimento di rispetto e di stima, ch’io vi diceva, considerandovi io per un uomo, che conosce perfettamente la veritá, che si ride della vanitá e leggerezza di coloro che credonsi di meritar venerazione per lo sangue degli altri nelle lor vene disceso, che s’innalzano sopra gli altri uomini soltanto perché ricordansi i nomi di piú numero de’ loro antenati che gli altri non fanno, che vantano per merito loro le azioni malvage de’ loro maggiori esiggendone rispetto, che usurpatisi la mercede delle belle azioni non fatte né imitate da loro per veruna maniera, e che finalmente figuransi d’essersi comperati i meriti insieme co’ titoli, ed assomigliansi a colui che credevasi di poter comperar per danari lo spirito divino.