Pagina:Parlamento subalpino - Atti parlamentari, 1853-54, Documenti.pdf/293

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Da olto secoli in poi la Croce di Savoia brillò sopra quasi tutti i campi di battaglia, e seppe sempre combattere con valore. Non rare volte strappò una fronda d’alloro alla vittoria, che accrebbe la gloria e la possanza dei suoi Stati. Prese parte o direttamente od indirettamente a tutti i grandi congressi europei, dove seppe trarre sagacemente profitto del suo sangue e del suo valore. Non sarà certamente dopo gli avvenimenti del 1848, che inaugurarono una politica più larga e francamente nazionale, che la Sardegna vorrà recedere dalla via gloriosa fin qui battuta, per adottare una politica timida ed egoista, quasi che i suoi destini fossero già compiuti. Questa politica converrebbe solo ad uno Stato che più nulla avesse a sperare, più nulla a temere ; ad una nazione che potesse dichiararsi soddisfatta dello stalli quo. Tale certamente non è la condizione del Piemonte costituzionale ; del Piemonte parte non ispregievole d'Italia, che ha pure diritto a migliori destini, la quale ripone le sue più care speranze in questo felice angolo della classica terra. Ripetiamo, per decoro del nostro paese e di questo Parlamento, che nessuna voce si alzò per propugnare un isolamento assoluto nella difficile crise in cui versa i’Europa. Vi sono però parecchi deputati che consigliano di attendere migliori circostanze per pronunciarsi. Essi osservano che è troppo arrischiato il partito preso dal Governo di spedire il nerbo delle sue forze in paesi assai lontani, mentre nessuna delle potenze pari alla nostra risolse ancora di prendere parte al conflitto; mentre due potenze di primo ordine rimangono tuttora indecise, ed una di queste sorveglia tutti i nostri andamenti con mire non guari amichevoli. La prudenza suggerisce quindi di attendere lo svolgimento ulteriore degli avvenimenti e la decisione di queste potenze; il qual partito è tanto più utile a noi, inquantochè le nostre finanze sono esauste; le quali dalla pace e prosperità interna soltanto possono trovare ristoro. A tali obbiezioni altre se ne aggiungono di diverso colore, ma non meno gravi. Taluni dicono: da questa guerra nulla di favorevole può attendere l’Italia; nulla quindi il Piemonte che fa pur parte essenziale di essa, la cui politica generale deve identificarsi necessariamente al bene generale della nazione. Riserviamo le nostre forze, i nostri mezzi, le estreme nostre risorse per i momenti supremi in cui vengano in lotta interessi più vicini e più vitali per le sorti delia patria. La guerra attuale, secando l’indirizzo che le fu impresso, è una guerra diplomatica, cioè di maggiore o di minore influenza che dovrà conservare o perdere Putta o l’altra delle grandi potenze europee; la civiltà, la libertà, l’indipendenza delle nazioni nulla guadagneranno d ì questa lotta A che prò pertanto uno Stato come il nostro, di socund'ordiiie, dovrà imprendere sacrifizi e correre pericoli por una causa da cui non può sperare nessun vantaggiu? Da cui nessuno dei grandi principi! sociali può attendere una soluzione? Noi crediamo di avere esposte sinceramente le precipue difficoltà ed opposizioni che sorsero nel seno degli uffizi e della Commissione contro a! trattato di alleanza. Riprodurremo pure colta medesima schiettezza e fedeltà le ragioni addotte per ribatterla. Segnato il trattalo del 10 aprile tra Francis eJ Inghilterra, era prevedibile che tardi o tosto anche il Piemonte sarchile stalo chiamato ad accedervi ; però nessun urgente motivo, nessuna circostanza imperante esisteva ancora che Vìslesse a spingere il Governo ad affrettare quei momento. Senonchè sopravvennero alcuni mesi dopo tali atti diplomatici che il Ministero non doveva lasciar consumare prima di prestare la sua adesione a quel trattato ; altrimenti disponendo, forse gli accordi non sarebbero più stati così facili, né le condizioni tanto vantaggiose; forse altri pericoli potevano soprastarci che colla opportuna accessione al trattato crediamo scongiurati. Colla adesione al trattato ci assicuriamo inoltre un seggio onorifico nel futuro Congresso d’Europa, quando, dopo la guerra, si dovrà trattare delia pace. La tema di una invasione straniera, ovvero di una guerra in Italia, mentre un buon nerbo delle nostre forze combatterebbe in lontane contrade, non è guari prevedibile. E qualora mai ciò accadesse, oltreché il trattato ci guarentisce l’aiuto delle forze anglo-francesi, la guerra grossa sarebbe traslocata dall’Oriente alle sponde del Po e dell’Adige. In tal caso rivedremo i nostri valorosi soldati ritemprati al fuoco delle battaglie d’Oriente, e li invieremo sui campi più geniali a raccogliere nuove corone d’alloro. La finanza non avendo ancora rimarginate le ferite aperte dalia guerra deil’indipendensa, avrebbe, è pur vero, bisogno delia pace per rimettersi. Ma non è il Governo nostro che abbia riaperto ii tempio di Giano. Il Piemonte deve sottostare alle condizioni europee che chiamano tutti i popoli alle armi. Se esso si pronuncia fra i primi, attribuitelo all’indole sua guerresca, alla politica passata e presente, alla posizione sua geografica, alle nuove relazioni stabilite e prossime a stabilirsi tra Francia ed Austria. Il Ministero fu pertanto costretto a prendere un partito per tempo dalla forza delle cose, e ci pare che quello scelto sia’ ii più conveniente agli interessi presenti e futuri del Piemonte. In quanto alì’imprestito che si dovrà contrarre per le spese della guerra, opiniamo che non potevansi dignitosamente desiderare condizioni più vantaggiose; e non v’ha dubbio che, ritardando di più, si sarebbero incontrati maggiori oneri per procacciarsi dei capitali. Le finanze dello Stato rimarranno di certo maggiormente oberate dalia partecipazione de! Piemonte alla presente guerra ; ma tai fiata la guerra è come la lancia di Achille che fere e sana. A coloro che mostrano di credere essere ia guerra d’Oriente unicamente promossa e sostenuta dalia gara di primeggiare tra la Francia e l’Inghilterra da una parte e la Russia dall’altra; che affermano nessun giovamento e nessun danno poter risultare dal trionfo di questa o di quelle ai piccoli Stati d’Europa ; che in questa gran lotta non hanno nulla a guadagnare e nulla a perderei grandi principii sociali di civiltà, di libertà, d’indipendenza, rispondiamo che sentiamo venir meno le forze per combattere tali asserti, riflettendo che non bastano per convincerli dei contrario l’opinione dei più grandi statisti, il consenso unanime dei popoli civili, l’evidenza dei disastri che soprasterebbero alle nazioni meridionali ed occidentali d’Europa quando iì mostruoso disegno di Pietro il Grande fosse coronato dai successo. E senza esitanza affermiamo che, non meno di Francia e di Inghilterra, avrebbe l’Italia a piangere amaramente qnest’infausto avvenimento. L’Italia, per la sua giacitura in seno del Mediterraneo, troverà sempre le vie d’Oriente più convenienti ai suoi traffici. Questa stessa strada dovrà fra non molto condurre, per mezzo di una facile e pronta comunicazione, alle Indie orientali, emporio del commercio universale. Supponete ora lo Czar di tutte te Russie padrone delle chiavi