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Istituzione delle Assisie coi giurati.

Progetto di legge presentato alla Camera il 17 maggio 1854 dal ministro di grazia e giustizia (Rattazzi).

Sienori® — Nell’esposizione dei motivi che per me si fa- ceva del progetto di legge sulla riorganizzazione dell’ordine giudiziario, parlando specialmente delle Assisie, io dichiarava che le Corti d’assisie, come allora erasi fatto disegno di com- porle, non sarebbero che un avviamento all’introduzione dei giudici del fatto nella cognizione dei reati comuni.

La istituzione dei giurati, o, per meglio dire, il suo riordi- namento, all’effetto di generalizzarla e renderla ordinaria ai giudizi criminali, era dunque giá deliberata a priori; chè anzi nella mente del Governo non era piú che una questione di opportunitá e di tempo. Ma la pubbliea opinione, ottima consigliera dei Governi costituzionali, sembrando che siasi bastevolmente dichiarata in favore di tale istituzione, ed il Ministero, avendo fondamento a credere che la medesima sia per riuscire accetta al Parlamento, ha deliberato di rompere ogni indugio e di proporre risolutamente ciò che, secondo il primiero avviso, doveva rimandarsi ad altri tempi, non però di molto lontani.

Non è invero da credersi che il magnanimo datore dello Statuto, quando nella legge organica della stampa introduceva i giudici del fatto, intendesse di costituire tale istituzione in Uno stato normale, limitandola in perpetuo a quella specie di reati. Era in quel tempo mestieri di provvedere a ciò che piú urgeva, di assicurare cioè la libertá della stampa, che non po- trebbe stare e radicarsi senza la garanzia dei giurati, da cui rappresentasi, per cosí dire, l’intiero corpo sociale, e per conseguente la pubblica opinione; perocchè, le prevenzioni disfavorevoli alla stampa; potrebbero, per avventura, insi- nuarsi piú facilmente negli animi di coloro che, a ragione della durata permanente dei loro uffizi, sarebbero forse in- clinati a voler esercitare sulla medesima una abituale tu- tela (1).

Ma crescerebbe senza fallo di pregio tale istituzione se, invece di essere, come di presente, ristretta ai reati di stampa, pei quali induce un certo carattere di specialitá e di eccezionalitá, rientrasse affatto nel diritto comune; che cosí, invece di essere quasi esclusivamente politica, diventerebbe, quale dev’essere, un’istituzione essenzialmente giudiziaria, sebbene agli ordini strettamente congiunta.

Il Codice di procedura criminale ha giá riconosciuta Ja ne- cessitá di separare nelle votazioni le questioni di fatto da quelle di mero diritto, ordinando (articolo 4353) che il presi- dente sottoponga prima a deliberazione le questioni di fatto e quindi, se vi è luogo, quelle sull’applicazione della legge ; ma cosiffatta separazione non può essere effettiva senza che Vana e l’altra cognizione venga commessa ai giudici diversi.

Non è che, proponendo la istituzione dei giurati anche pei reati comuni, si voglia rivocare in dubbio la giustizia dei magistrati che esercitarono finora questo sublime e terribile uffizio di difendere, con la punizione dei colpevoli, la sicu- rezza sociale. Niuno è che non sappia come i magistrati fos- sero e sieno serupolosi indagatori delle prove e rigorosi os- servatori delle forme, e nell’interesse della societá che do- manda la repressione, e nell’interesse degl’imputati acciò non rimanga sacrificato per errore l’innocente. Ma si vogliono in-

(1) Euvres de Benrzax, tom, 3, De Porganisation judiciatire, CAP. XXIX.

trodurre i giurati perchè trattasi di una istituzione connatu- rale alla societá; perchè è razionale, e per ogni modo dice- vole, che il giudizio dei fatti nen rimanga abbandonato ad un determinato ceto di persone, per quanto sia probo ed illumi- nato; e «che di un’arte, che tutta si raggira nell’esame dei fatti, si faccia il patrimonio esclusivo di un ristrettissimo corpo» (1).

L’amministrazione della giustizia criminale avendo, come si diceva, per oggetto la sicurezza sociale, che interessa u- gualmente ogni ordine di cittadini, ogni ceto di persone, ra- gion vuole che i giudici del fatto siano tratti dal corpo intiero della societá, e che in tal parte l’ufficio del giudice non sia permanente e commesso unicamente a coloro che facciano professione di leggi.

Nella piú parte delle questioni l’applicazione delle leggi ri- cerca senza dubbio l’opera di persone versate nella scienza del diritto, di coloro che dedicarono tutta Ja vita allo studio della giurisprudenza, deila quale per veritá sono vasti e ster- minati i confini; ed attesa la moltiplicitá delle leggi, che sono l’effetto della civiltá, e gl’infiniti, svariati ed intrecciati rap- porti che ne derivano tra le persone e le cose, sará pur sem- pre una necessitá inevitabile che si abbiano giudici perma- nenti, eletti fra le persone che fanno professione di leggi.

Ma per giudicare dei fatti e delle loro circostanze non è punto necessario di avere alla mano le leggi scritte, nè di saper ragionare sottilmente sulle medesime, nè di possedere la cognizione dei principii razionali del diritto; chè non si desidera la sapienza del giureconsulto ove basta il senso co- mune dell’uomo ; e chiunque sia onestamente educato ed an- che mezzanamente istrutto può in laudevol modo soddisfare all’ufficio di giurato.

Le decisioni dei giurati vogliono essere in certo modo l’e- spressione della coscienza pubblica, che non apprende le cose e non le giudica, seguendo le regole di una logica artifiziale, ma con quella intuizione, con quel naturale discernimento di cui sono gli uomini dotati dal supremo facitore di tutte le cose che formò ad un modo gli animi loro (2). Ed è perciò che la comune intelligenza degli uomini non può fallire alla meta, quando non sia ingombrata ed offascata da male con- suetudini; e quindi si notò, non a sproposito, che l’istitu- zione dei giurati tenne dietro immediatamente alla cessazione dei cosí detti giudizi di Dio del medio evo, i quali significa- vano una fotale abdicazione della ragione umana, ritornata poi coi giurati in seggio.

Non sono i giurati tenuti a giudicare secondo certi canoni di giudicatura prestabiliti dalla legge ; essi non deggiono ri- cercare ed apprezzare le prove secondo i dettati e gli aforismi dei eriminalisti, che, per veritá, non furono nè sempre logici nè sempre umani; essi non rendono ragione della certezza morale che acquistano ; essi, dall’insieme delle cose, accol- gono nell’animo una convinzione, e quindi esprimono il lore voto er animi sententia, senzachè siano mai tenuti a rispon- dere del loro giudizio (3).

(1) FrraneterI, Scienza della legislazione, lib. III, cap. 16.

(2) «Etenim ratio, qua una prestamus belluis, per quam conjectara valemus, argumentamur, refellimus, disserimus, conficimus aliquid, concludimus, certe est communis, doctrina differens, discendi quidem facultate par. Nam et sensibus eadem omnia comprehenduntur; et ea quae movent sensus et movent omnium queque in animis imprimuntur, de quibus ante dixi, inchoate intelligentiae similiter in omnibus impri- muntur.» Cicero, De legibus, lib. I, cap. x.

(8) «Maiores nostri ex animi sui sententia jurare quemque voluerunt.» Cicero.