Pagina:Parlamento subalpino - Atti parlamentari, 1853-54, Documenti I.pdf/481

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Statuto interdette le predicazioni, l’insegnamento, le ceri. monie dei culti valdese ed israelitico nei limiti della tolle- ranza loro rispettivamente conceduta. Ed anzi l’articolo 169 dello stesso Codice penale prova che si voleva efficacemente guarentire l’uso tranquillo di quei riti e di quegli insegna- menti, mentre in esso si stabiliscono pene centro chiunque con vie di fatto, minaccie, od in qualsivoglia altro modo turbi od impedisca l’esercizio dei riti e delle funzioni dei culti semplicemente tollerati.

Una avvertenza essenziale da farsi qui e che deve servire di norma, secondo che pare all’ufficio centrale, non meno nella discussione che nella redazione del progetto di legge, si è che ora non si tratta di stabilire intrinsecamente una maggiore o minore estensione di limiti all’esercizio dei vari culti tollerati; non si tratta nemmeno della guarentigia da darsi dalla legge politica e civile alla libertá di coscienza, la quale appunto dal punto di vista della legge politica e civile rimane intatta. Ma la questione si aggira unicamente nel mettere d’accordo ia penalitá prescritta dal Codice penale per certi fatti i quali sono previsti e puniti da altre leggi re- pressive posteriori di tempo e coordinate coi principii dello Statuto.

Questa avvertenza ci è paruta necessaria cosí per non la- sciar vagare nell’incerto le questioni che verranno a snsci- tarsi all’occasione della discussione, come per non lasciar credere che qui siasi preoccupato il campo che appartiene ad una materia regolata da principii assai piú vasti che non sono quelli che ora si invocano.

Noi prendiamo per base la lettera chiara ed esplicita del- articolo primo dello Statuto, da cui non potremmo nè one- stamente, nè legalmente recedere.

Noi riconosciamo ad un tempo non doversi pregiudicare sotto aspetto di legge politica e civile la libertá individuale di coscienza. Ma noi dobbiamo pure riconoscere che nella condizione attuale delle cose nel nostro paese coloro che ap- partengono a culti tollerati possono tranquillamente atten- dere agli insegnamenti ed agli atti tutti che ne sono propri, secondo il desiderio espresso nella relazione del signor guar- dasigilli, che nulla si oppone a che essi usino a tale scopo di piena libertá, e che veramente nella nostra legislazione, a termini del prescritto dallo Statuto, non vi è in proposito di ciò nè difetto da correggere, nè lacuna da colmare.

O dunque il Ministero desidera una nuova ricognizione di ciò che esiste in conformitá dello Staluto, e quantunque si possa ravvisare una mera sovrabbondanza, l’uffizio centrale nondimeno è disposto a compiacerlo per secondare sempre piú la facilitá delle relazioni e le arrendevoli disposizioni tra i poteri dello Stato.

Oppure il Ministero intende modificare la disposizione del- l’articolo primo dello Statuto nella parte che ammette l’esi- stenza di culti oltre la religione dello Stato, ed allora l’uffi- zio centrale dichiara di non poterlo nè volerlo seguire nel- l’indiretta proposta, la quale non presenterebbesi nè in termini espliciti, nè amminicolata da quel corredo di motivi, da quell’imponenza di ragioni che si ricercherebbero in cosa di tanto momento,

L’uffizio crede quindi che, ove tale sia l’intendimento del Ministero, egli lo abbia a dichiarare francamente ed a farne l’oggetto d’una distinta proposta di legge separata, non po- tendosi altrimenti provocare una modificazione al disposto della legge fondamentale. Ove ciò avvenga, i componenti del vostro uffizio non meno che tutti i membri del Senato vi porranno quello studio che si converrá all’importanza del- l’argomento, facende fin d’ora riserva della piena libertá

delle loro rispettive opinioni sovr’esso, a cui non potrá mai essere su questa incidentale questione pregiudicato.

Pigliando pertanto la via che sembra la piú naturale e che s’accorda coll’indole della proposta fattane dal signor guar- dasigilli, che viene conie ner conseguenza suggerita da ra- gione d’analogia, l’uffizio centrale crede che alinea di che si tratta possa scriversi in modo da escludere la parola pub- blico.

Diffatti, se si considera che nello stato attuale, che è con- forme alla lettera ed allo spirito dello Statuto, l’esercizio dei culti tollerati ha luogo con quella facilitá e con quella sicu- rezza che possono appagare gli individui che li professano, i quali attendongytranquillamente agli insegnamenti ed agli atti che ne sono propri, la parola pubblico sarebbe non che superflua, pericolosa. E diciamo pericolosa nel senso che tenderebbe a falsare il concetto dell’esercizio tollerato di culti, quale ne viene appunto espresso nella relazione del si- gnor guardasigilli.

Se attualmente quelli che appariengono a culti tollerati hanno pieno esercizio di essi secondo la qualitá propria dei medesimi, non occorre che si esprima di piú di quello che hanno. :

Se poi coll’aggiunta dell’epiteto pubblico si volesse insi- nuare che l’esercizio del culto tollerato si allarghi in modo da ammetterne le predicazioni ed i riti fuori dei recinti dei luoghi a ciò specialmente destinati, allora evidentemente si trascorrerebbe, per valerci delle parole stesse della rela- zione del signor guardasigilli, oltre ai giusti termini della concessa tolleranza, la quale, secondo la mente del legislatore, non si estende mai a comportare il proselitismo e la pro- paganda.

Allora perogni dove si ammetterebbero atti, discorsi, fun- zioni di culti tollerati in concorrenza aperta cogli atti, i di- scorsi e Ie funzioni della religione dello Stato: oppure ne av- verrebbe, come accade in certi paesi di indistinta libertá di culti, che la religione dello Stato e della immensa maggio- ranza dei cittadini dovrebbe ritirarsi da ogni apparato esterno che esprima la sua preminenza.

Ma l’una e l’altra ipotesi sarebbero, a parere dell’uffizio, in contraddizione collo Statuto e quindi non ammessibile.

Bensi l’uffizio cre.ie che si adempie ogni voto ragionevole in conformitá della proposta del signor guardasigilli, seri- vendo, come vi propone di farlo, l’alinea del primo articolo ne’ termini seguenti, cioè:

«Le disposizioni di quegli articoli non sono applicabili agli atti spettanti all’esercizio dei cuiti tollerati nei locali ad essi culti destinati.»

Passiamo ora alla disposizione dell’articolo secondo del progetto di legge. Con questo si ordina, che i ministri dei culti, che nell’esercizio del loro ministero pronuncino in pub- blica adunanza un discorso contenente censura delle institu- zioni e delle leggi dello Stato, saranno puniti col carcere da tre mesi a due anni, con accrescimento di pena, se la censura siasi fatta per mozzo di scritti, d’istruzioni, o d’altri docu- menti di qualsiveglia forma, letti in pubblica adunanza, od altrimenti pubblicati. In tutti i casi da quell’articolo contem- plati, alla pena del carcere sará aggiunta una multa che po- trá estendersi a lire due mila. i

Prima di entrare nell’esame dell’intrinseco di quest’arti- colo, e di esporre i pareri che sovr’esso si aprirono nel seno deli’ufficio centrale, è d’uopo premettere una dichiarazione nella quale convenrero unanimi tutti i componenti dell’uf- ficio.

Si riconobbe da essi spettare al Governo il dovere ed il di-