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Nella campagna è la prima vita dei Romani e la prima loro poesia. La Grecia, quando vinse il suo vincitore, trovò ancora agreste il Lazio1. Il faunus che cantava agli uomini, era il dio dei boschi; e i vates che accoglievano e ridicevano le sue parole, dovevano più aggirarsi per i boschi che per la Via Sacra. La lustrazione del campo si faceva con una cantilena religiosa conservataci da Catone2. Mars pater era invocato non perchè desse la vittoria in guerra, ma perchè facesse crescere e riuscire a bene frutti frumenti, vigneti virgulti, e conservasse sani i pastori e il loro gregge. Ma il contadino cantava certo anche in altre occasioni: nelle campagne è tutto un cantare. Canta Simylus macinando il grano per il suo moretum; canta la fida moglie vergiliana tessendo nella veglia invernale. Tali canti non erano sempre gentili nè innocenti: vi erano canzoni d’improperi, canzoni d’infamia e anche formule misteriose capaci di attrarre nel proprio le messi del campo vicino3. In bocca di agricoltori certo, e forse nelle nozze sin dal principio più che in altra occasione, risonarono i Fescennini che erano pure convicia, come li chiama Lucano, tali quali chiama Orazio quelli del vendemmiatore e del passeggiero4. Nelle feste campestri si udì tra quelle ridde il Triumpe triumpe dei sacerdoti di Mars, dio degli agricoltori, prima che accom-

  1. Hor. Epl. II i 156.
  2. Pag. 3 Comprecatio etc.
  3. Moretum v. 29; Georg. i 293; Hor. Serm. I v 14 sqq.; Cic. Rep. iv 12; Plin. HN. XXVIII ii 17; 10; Fest. p. 181; Serv. in Verg. ecl. viii 99; Plaut. Aulul. III 2, 31.
  4. Hor. Epl. II i 139-155; Liv. VII ii 7; Lue. Phars. ii 368; Hor. Serm. I vii 29.