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la poesia lirica in roma 91

pagnasse il carro del capitano vittorioso; e della rozzezza e licenza dei canti trionfali è causa, più che altro, questa origine. Quanti cognomi di illustri genti e famiglie Romane, cognomi villeschi, che ricordano legumi e bestie, saranno stati uditi la prima volta nei tripudi della villa, come quello di Torquato in un tripudio militare!1 Il verso stesso o numerus in cui erano almeno da principio queste canzoni, si chiamava Saturnius, quanto a dire, nato nelle seminagioni. Ma gran parte della poesia contadina era seria e grave: osservazioni agricole o morali o l’uno e l’altro insieme. Delle prime è, per esempio «Quando inverno è polveroso, primavera limacciosa, molto farro e molto bello, o figliuolo, mieterai». Un’altra: «(La sementa) per tempo spesso falla, tardi falla sempre». Delle seconde è questa: «Gli dei aiutano chi fa», o questa: «Presto assai se assai bene». Delle terze: «L’uva invaia in veder l’uva», o «Tu non sai che cosa porta la stella della sera», o «La scabbia d’una bestia infetta tutto il branco»2. Vi era tutta una precettistica agreste in cui il vecchio insegnava al camillo; mancò solo forse un Hesiodo a raccogliere questa sapienza sparsa, sebbene Appio Cieco e Catone, a quanto sembra, vi si provassero; aggiungendo naturalmente del loro. Ma chi sembra essere stato più veramente una specie di Hesiodo romano è Marcius Vates, il cui nome è

  1. Inter carminum prope modum incondita quaedam militariter ioculantes Torquati cognomen auditum: celebratimi deinde posteris etiam familiaeque honori fuit. T. Liv. VII x.
  2. Pag. 4-6. Carmina rustica, proverbia: 6, 27, 14, 18, 11, 12, 28. Il 14 Di facientes adiuvant, Mureto interpreta eos qui rite operantur sacris, contro l’interpretazione di Erasmo: Mur. ad Tibullum 1, 1, 11.