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piangere; piccoli laboriosi poemetti epici come Io di Calvo, Zmyrna di Cinna, Glaucus di Cornificio; imenei sapphici, o in gliconei conclusi da ferecratei o in esametri. Di tutta questa poesia restano pochi avanzi1. Restano bensì alcune saette iambiche popolari che si possono credere se non foggiate proprio, almeno acuite, da questi poeti. Per esempio, l’epigramma in coliambi contro quel Rufo, che fu iniziatore, auctor, di cucinare le cicogne, ha un fare tutto catulliano ed è metricamente correttissimo. Per esempio ancora, i versi quadrati che si cantarono, giusta Suetonio, nel trionfo di Cesare e cominciano Gallias Caesar subegit, non sono versi fatti a orecchio come gli altri Gallos Caesar in triumphum; e possono essere nati, come si può indurre anche per le solite iambiche accuse, quali erano in Catullo e Calvo, nelle umbracula di qualche poeta, piuttosto che al sole delle marce e al fuoco dei bivacchi2. Così nell’epigramma contro Ottaviano per il suo empio lectisternium di uomini-dei3, è un indizio sia pur fievolissimo (lo spondaico verso quinto), che la musa dei nuovi, già non più nuovi, continua a perseguitare Cesare nel suo figlio adottivo. Ma qui è importante considerare che i νεώτεροι tutti o almeno tutti i principali, divennero poi, a quel che sembra, Cesariani. Furono, a dir vero, sempre per Cesare Cornificio e Quintilio Varo, transpadani; divennero col tempo, pare, Helvio Cinna e Bibaculo, transpadani anch’essi. Persino Catullo, che aveva assalito così fieramente quello che egli aveva chia-

  1. Pag. 103-106.
  2. Pag. 107 e 105.
  3. Pag. 109.