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la poesia lirica in roma 129

Hieronymo, quasi novanta; poichè Orbilio era cinquantenne nell’anno del consolato di Cicerone. Dunque? Par probabile che Hieronymo abbia errato, e che Bibaculo, come si rivela imitatore di Catullo, così sia stato o suo eguale o anche suo minore1. Imitatore fu di certo, anche nell’assalire Cesare con l’acerbità dell’iambo, sebbene ne facesse poi ammenda con una pragmatia belli Gallici2, di cui un verso è deriso da Orazio. Notevole è che questa Pragmatia (o Annales) belli Gallici mostra come nella metrica e prosodia la diligenza ed eleganza nuova, così nell’argomento e in qualche espressione l’imitazione di Ennio. A Ennio anzi o male inteso o voluto agguagliare con troppo minori spiriti, si deve quel Iuppiter che hibernas cana nive conspuit Alpes. Così è: Bibaculo, «tra lo stil de’ moderni e il sermon prisco», prepara Vergilio. Ma nei carmina segue ancora ed emula i soggetti, i metri, lo stile delle nugae e ineptiae Catulliane, e ciò, dopo che erano stati mostrati al Lazio i veri iambi di Paro e adattate alle corde della lira italica le melodie di Lesbo. Gli altri poetae novi, C. Licinio Calvo, C. Helvio Cinna, Ticida, Q. Cornificio, non arrivarono al tempo in cui avrebbero potuto considerarsi o essere considerati veteres: poco dopo la morte di Cesare, erano tutti o quasi tutti (di Ticida non sappiamo nulla) morti, come abbiamo detto; morti dopo aver composto, epigrammata o poemata, epyllia, epithalamia: brevi poesie ispirate dall’amore o dall’amicizia, da tutto ciò che fa ridere e fremere e

  1. Pag. 101 M. Furius Bibaculus e note, specialmente al III, v. 8.
  2. Tacit. ann. IV 34. Acron ad Hor. Sat. II v. 40.