Pagina:Pascoli - Antico sempre nuovo.djvu/159

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la poesia lirica in roma 145

questa specie: Che ore sono? Gallina il Thrace può stare a fronte di Syro? Comincia a far freddo la mattina: bisogna riguardarsi»1. S’intende che ciò è detto con un sorriso; ma in fondo è vero, ed è ragionevole che così fosse, sul bel principio. Di queste giterelle in raeda pare essere un ricordo anche negli iambi. Videro essi in qualche aia, imaginiamo, dei contadini mangiare un moretum: il moretum che Vergilio giovanetto aveva cantato. Maecenate se ne invogliò e ne mangiarono anch’essi. L’aglio che vi entrava in gran copia, fece male a Orazio e lasciò un non grato odore in bocca a tutti e due. Donde uno scherzo iambico2, che dovè ricordare a Maecenate col suo finto pathos, la maniera dell’amato Catullo, quando egli ebbe letto, per esempio, l’anthologia di Sulla il litterator. Ma Orazio si occupava più delle Sature o Sermones, dei quali offriva al protettore il primo libro nel 719, due anni dopo il dilettoso viaggio a Brindisi con lui e Vergilio e Vario. Maecenate, che preferiva forse gl’iambi, gli domandava spesso notizie del libretto, cominciato tanto tempo prima, ancora prima che lo conoscesse. E Orazio rispondeva: Non me la sento più; sono innamorato e più che i versi d’Archilocho mi si convengono quelli di Anacreonte3. Tuttavia in iambi cantò il presagio della vittoria di Cesare su Antonio, nei primi mesi del 723; quando tutti i Romani erano in grandi ansie, sapendo le minaccie di Cleopatra e ricordando la

  1. Sat. II vi 42.
  2. I. [Ep.] VIII [III].
  3. I. [Ep.] XI [XIV] e vedi anche l’[XI] tralasciato.