Pagina:Pascoli - Antico sempre nuovo.djvu/161

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la poesia lirica in roma 147

triche. Ora essa è per il soggetto, certa imitazione di Anacreonte; per il metro, non forse1, sebbene abbia un ferecrateo e un gliconeo per terzo e quarto verso d’ogni strofa. Presto egli dunque lasciò le lievi melodie del poeta, che era ionico come Archilocho, per ricorrere alla fonte donde erano anch’esse sgorgate. Ma prima nei metri stessi, usati già epodicamente, si provò di gettare pensieri e sentimenti più propri della poesia melica, facendo soltanto quaternarie le strofe. Una di esse poesie2 svolge questo pensiero: Come non sempre si vede nuvolo nel cielo, così non sempre si deve avere la tristezza nell’anima: il vino fa obliare ogni dolore. Così il [XIII] epodon, presso a poco. E questo epodo e quell’ode concludono con un esempio eroico, l’uno del Centauro che ammonisce Achille, l’altra di Teucro che incuora i compagni. La differenza è nel principio; poichè l’ode esordisce con uno di quei proemi pindarici, che a bella prima non si comprende dove abbiano a parare. Poi, è tetrastica. Un’altra ode, dello stesso metro, ha analogia coi [V] e [II] Epodon, perchè contiene un dramma e perchè si apre col discorso di persona che non è il poeta. Ma mentre dei due carmi epodici, il primo ha il grottesco vicino al tragico, il secondo il burlesco presso l’idillico; l’ode ha, con un’ombra d’ironia, una serietà e severità solenne e pietosa3. Alla prima di queste odi, e perciò al [XIII] Epodon, rassomiglia l’ode quarta del primo libro, da me omessa4. Ora questa è ad-

  1. Il metro pare di Alcaeo. Vedi fg. 43 Bergk.
  2. Carmina I [I-VII].
  3. Carmina II [I-XXVIII].
  4. Pag. 165 nota in fine.