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la poesia lirica in roma 151

Orazio aveva domandato: Quando berremo il Caecubo del trionfo? Nell’autunno dell’anno medesimo, si combatteva la battaglia di Actium. La vittoria di Cesare era grande, ma rimanevano in vita sì Antonio, che poteva serbare qualche sorpresa, e sì Cleopatra, che poteva ammaliare il nuovo come aveva sedotto il vecchio Cesare, o sfuggirgli. Finchè quella donna era viva e regina, i Romani non potevano darsi alla gioia. Ma nell’autunno del 724, un anno dopo la vittoria Actiaca, giungeva la notizia, portata dal figlio di Cicerone, che la donna che parve fatale, era morta: morta in modo misterioso che non si seppe bene allora nè poi. Le menti si fermarono all’aspide velenoso. Il poeta trova, in tale momento, in Alcaeo il metro e la mossa del suo canto di gioia1. La mossa e non più: che cosa poteva esserci di simile tra il tirannello Myrsilo e il fatale monstrum che minacciava il Capitolium? Le imitazioni Romane non ci compensano certo della perdita che abbiamo fatto dei modelli greci; Orazio non ci fa dimenticare Archilocho e Alcaeo: tuttavia noi possiamo essere sicuri che in Archilocho, che guida con suo padre la colonia a Thaso, in Alcaeo, che gioisce della morte di Myrsilo, non avremmo trovato l’accento sublime del vate Romano che invita i cittadini a lasciar Roma e cercare le isole lontane, o a bere il Caecubo per la morte della donna che non volle essere «trionfata». Il metro è sì il metro d’Alcaeo, fatto latino, sebbene non ancora del tutto. Orazio tralascia una volta, al v. 14, la dieresi che, a differenza del Lesbio, egli s’im-

  1. C. IX [I-XXXVII].