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218 antico sempre nuovo

Italia, nè crebbe, per i suoi semi nuovi, a cespuglio, a bosco, a selva. Perchè, dove sono gli aedi italici?

Gli aedi pare che ci fossero, e si chiamavano vates e carmentes1. Si credè poi che essi non facessero che predire il futuro, ma certo narravano anche il passato. È inutile aggiungere parola per confermare l’affinità tra il poeta e profeta: così cieco-veggente è Tiresias come Demodoco; e chi può dire, quando l’aedo canta il troppo desiderabile tempo, se egli dipinga con la parola il passato o l’avvenire? Si chiamavano dunque, gli aedi Romani, vates e carmentes, e non scrivevano essi, come appare dalla notizia di Servio, i loro canti. Si recavano, come Phemio e Demodoco, ai conviti, se poniamo mente a ciò che diceva Catone nel «Carmen de moribus» Poeticae artis honos non erat, si quis in ea re studebat aut sese ad convivia applicabat, grassator vocabatur2. Il passo non è di facile interpretazione; ma par certo che la frase sese ad convivia applicabat, analoga alle altre se ad studia, se ad philosophiam applicare, debba mettersi in relazione con la notizia che dalle «Origini» di Catone trasse M. Tullio che molte generazioni avanti lui in epulis si solevano cantare a singulis convivis canti in lode di chiari personaggi o eroi3. Il convivio nell’espressione Catoniana è, per così dire,

  1. Serv. ad Aen. viii 336: nam antique vates «Carmentes» dicebantur, unde etiam librarios, qui eorum dicta perscriberent, Carmentarios nuncupavere.
  2. Aulo Gell. XI ii 5.
  3. Cic. Brut. xix 75: Utinam extarent illa carmina, quae multis saeculis ante suam aetatem in epulis esse cantitata a singulis convivis de clarorum virorum laudibus in Originibus scriptum reliquit Cato!