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rone; lode a cui Cicerone stesso riferisce contrastare un’orazione del severo censore, il quale, secondo lui, si contradice1. Diciamo dunque che tali clarorum virorum laudes erano cantate da aedi, che Catone dice esser chiamati grassatores, come le lamentazioni funebri o naeniae, lodi anch’esse di morti, erano cantate da donne, che si pagavano2, da prefiche. Ma perchè grassatores? Interpretano «adulatores», il che sarebbe ben detto e dei cani che scodinzolano per aver l’osso, e dei parassiti che blandiscono per essere invitati a cena; ma come potrebbe riferirsi a quelli che in ea re, cioè nell’arte poetica, studebant? Prendiamo in un autore antico, che riferisce cosa antica anche per lui, della parola il significato primitivo: gradi, riferisce Festo, vale, ambulare, e grassari è il suo frequentativo; sì che grassator e nel senso proprio e nel senso translato a biasimo, vale quanto il nostro «vagabondo», quanto l’altra parola Catoniana ambulator: vilicus ne sit ambulator3, ossia non faccia quello che il buon poeta Floro, rimbeccato da Hadriano: ambulare per tabernas4. Era dunque una parola d’insulto come quella che il superbo Antinoo dice dei simili a colui che egli crede un pitocco, ed è il divo Odysseo: ἀλήμονες... πτωχοὶ ἀνιηροί, δαιτῶν ἀπολυμαντῆρες; ai quali l’inclito porcaio Eumaco ammette,

  1. Tusc. I ii: honorem tamen huic generi non fuisse declarat oratio Catonis, in qua obiecit ut probrum M. Nobiliori, quod is in provinciam poetas duxisset.
  2. Varr. LL. VII 70: praefica dicta, ut Aurelius scribit, mulier ad luctum quae conduceretur, quae ante domum mortui laudeis eius caneret.
  3. Cat. de agr. V 2.
  4. Spart. vit. Hadr. 16.