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Pagina:Pascoli - Antico sempre nuovo.djvu/243

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la poesia epica in roma 229

mente è da dire, che ne sappiamo quanto del suo autore, e che dell’uno e dell’altro furono tramandate a noi favole molte; delle quali alcune rassomigliano tra loro, come quella per cui l’uno e l’altro è fatto maestro di fanciulli e l’altra per cui Omero fu, dato come ostaggio degli Smyrnei ai Colophonii e Livio fu da Taranto portato prigioniero a Roma. Quello che si sa è che l’uno era aedo, se pur non era rapsodo; e che l’altro fu scriba e histrio.

Or questo scriba tradusse l’Odyssea. Per i fanciulli, per gli scolari? Sì: come Omero scrisse per gli scolari e per i fanciulli la guerra dei topi e delle rane e le furberie dei Cercopi. È una supposizione, anzi un’imaginazione, anzi una fantasticheria strampalata. Perchè Livio avrebbe adoperato il rozzo metro saturnio, se il suo insegnamento mirava a istradare i discepoli nella greca arte e cultura? Non sono da dimenticare i tre esametri riferiti da Prisciano come di Livio (fr. xxvi e xxxvii e xxxix); non è da dimenticare che Livio nelle sue tragedie, e comedie usò pure metri greci. Ma l’esametro non avrebbe egli saputo comporlo. Non voglio rispondere osservando, per es. che a proposito del fr. xxxvii il verso saturnio raffazzonato dallo Zander,

          Cocles socios quom nostros inpius mandisset,

con l’iperbato di quom, con la separazione di Cocles da inpius e di socios da nostros è assai più artificiato, che l’esametro tramandato da Prisciano,

          Cum socios nostros mandisset inpius Ciclops;

non voglio rispondere così: affermo soltanto che è puerile ritenere che l’introduzione del «verso lungo»