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essere lo schiavo sacro del suo verde tempio. Non è così? E hai cura non solo de’ suoi alberi, ma delle sue menome erbuccie, e coltivi con antichissima esperienza le api sue, in alveari fatti di corteccia.

Eccoli qua, e un grande oleastro1 e una palma2 gettano l’ombra sul vestibolo, e torno torno sono fonti cristallini e uno stagno verde di musco.

E quanto pascolo prepari e fornisci alle frugali operaie del miele, le quali delle piante non cercano il frutto ma il fiore, e al fiore nulla prendono che non sia superfluo a lui, e gli dànno sovente ciò che di per sè non avrebbe: la fecondità. O particelle alate della gran Mente, o contrarie del tutto agli uomini a cui è propria vita la morte altrui; mentre esse si cibano senza distruggere e senza predare, facendo anzi del fiore dove si nutrirono, un frutto, e del succo o del pulviscolo che era di troppo, il miele!

Che se il male alcuna volta, costrette e aizzate, fanno, ne muoiono.

Qui per loro, oltre il timo e il serpollino, oltre i narcissi e la maggiorana, oltre i fiori di salice e di nocciolo, è lo spigonardo3, il canugiolo4, il citiso o avorniello5, il dittamo6, l’altea7, il

  1. L’oleastro, Georg. IV 20, e II 314, Aen. XII 766.
  2. La palma (forse la palma a datteri?) Georg. IV 20, e II 67.
  3. Lo spigonardo o lavanda, se è la casia, Buc. II 49, Georg. II 213, IV 30, 182, 304.
  4. Il canugiolo, se è la cerinthe, Georg. IV 63.
  5. Il citiso, Buc. I 78, II 64, IX 31, X 3o, Georg. II 431, III 394.
  6. Il dittamo, Aen. XII 412 segg.
  7. L’altea, se è l’hybiscus, Buc. II 30, X 71.