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sicali assegna a quelle due sillabe una croma col punto a ognuna, mentre quelle che le seguono sono biscrome. Ma più che agli usi musicali, per cui la parola è resa spesso irriconoscibile, attendiamo alla pronunzia volgare. È un fatto che la sillaba accentata noi la possiamo allungare quanto vogliamo, e la disaccentata no, non quanto vogliamo. Uno dice, nella rabbia: cane; dice, per esempio, con Virgilio, a Filippo Argenti: Via costà con gli altri cani.... La prima sillaba di cani può pronunziarla lunga lunga; e può prolungare anche l’ultima; ma se la prolunga più di quel che abbia prolungata la prima, dirà caní e non cáni1. Or dunque può darsi che noi non abbiamo lunghe e brevi, ma abbiamo certo sillabe allungabili e sillabe non allungabili. Cioè, abbiamo proprio le lunghe e le brevi; perchè un’allungabile, quand’è allungata, è lunga. È lunga nel metro, nel verso, in poesia, se non nel linguaggio comune; ma in latino la cosa andava molto diversamente da così? E a ogni modo, posto che la stessa misura fosse, d’una sillaba, nel parlare comune e nella recitazione del verso, a ogni modo la percussione non era la stessa; e ho già osservato che a percuotere per esempio réges o regés, bisognava aver la scienza o la coscienza del verso in cui quella parola era messa. E a ogni modo, anche nella versificazione volgare bisogna aver questa scienza o co-

  1. Vedi a p. 348. So bene che i musici fanno ciò che vogliono; ma non si può dire che facciano bene. Il sommo violinista e gentile amico Adolfo Betti l’altro giorno mi faceva notare il superbo disprezzo che hanno i compositori per la parola. Accennava, per esempio, la mirabile romanza del Thomas: Connais-tu le pays.... Ebbene su quel le che è paroletta muta e proclitica, posa l’accento del canto.