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quello che sopravvisse. Infatti se fugge alla morte e vittorioso ha il chiaro vanto della «lancia», tutti l’onorano, giovani e vecchi, e se ne va all’Hade dopo aver goduto molti piaceri. Tyrtaeo descrive l’uomo che per paura della morte preferì abbandonare la patria al difenderla. Egli erra con la triste famiglia odioso a tutti, oppresso dal bisogno: diventa brutto! La viltà è dunque come la vecchiaia, che «fa l’uomo brutto insieme ed infelice»1. La vecchiaia! donde, se non da antiche elegie in morte d’un giovane prode, ha ricavato i suoi motivi Mimnermo? «Due sorti nere ne stanno sopra: l’una con la vecchiaia molesta, l’altra con la morte.... quando la lieta stagione è passata, oh! allora meglio la morte che la vita»2. E la giovinezza, «il fiore della giovinezza, soave e bello, dovrebbe durare più a lungo: e invece è breve come un sogno ». Perciò bisogna goderla, amando. Poichè ta vita che è senza «l’aurea dea dell’Amore»? Oh! morire, quando non siano più per noi i suoi doni3. E così l’amore entra nell’elegia naturalmente, e noi possiamo supporre che sempre ci sia stato; l’amore è fratello della morte; e sempre vi rimase, sebbene irrequieto, insoddisfatto, come quello che vede le due «sorti nere». Le tristi riflessioni del banchetto funebre, le gnomai amare, ricorrono alla mente del poeta innamorato anche se egli non voglia, poichè sono indissolubili dall’esiguo elegos nel quale e per il quale sono nate4.

  1. Tyrt. 10 B. v. 3. Mimnermus 1 B. v. 6.
  2. Mimn. 2 B.
  3. id. 5 B. v. 4; 1 B. v. I.
  4. Theognis 159, 167.