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la poesia lirica in roma 75

bili comoi la canteranno coi piccoli flauti chiarosonanti1.

Ma nei comoi s’udiva più la seconda specie di poesia lirica, l’iambo, che ha con l’elegia in comune l’aulos, e in qualche modo le assomiglia, se noi vediamo lo stesso poeta, come Archilocho e Solone, trattare i due generi. Pensando ad Archilocho, si direbbe che egli abbia piegato fino a che si potè, la cantica derivata da tui convivio sì, ma funebre, a esprimere il suo sentimento allegro e fresco della vita; dove non si potè, ricorse all’iambo; all’iambo memore d’altri festini. Questa poesia procace era congiunta anche al culto della dea Demeter; poichè Iambe è l’ancella che con le sue facezie muove l’afflitta madre a sorridere e racconsolarsi: onde «anche dopo, ciò le piacque nelle sue feste»2. Aristotele conferma che la legge concedeva per certe divinità il τωθασμόν3, ma i giovanetti non dovevano udirlo. Ed è notevole che Paro, la patria di Archilocho, sia dopo Eleusi, il paese prediletto di Demeter, sì che l’isola si chiamò Demetrias4. Archiloco fece anzi alle due dee un inno5. Per il poeta Pario era dunque questo tothasmos già noto e abituale; e ciò spiega come il genere iambico nascesse con lui perfetto. Ben poco resta a noi di tutta quella grande opera poetica che lo fece chiamare il più grande dopo Omero, il più Omerico. Più che dai frammenti, ne deduciamo la nota generale dal

  1. Theogn. 237.
  2. Hymn. H. Δ 205 leggendo col Voss ἑορταῖς.
  3. Arist. Pol. 7, 15.
  4. Hymn. H. Δ v. 491; Steph. Byz. alla parola Πάρος.
  5. Schol. Aristoph. Aves 1764.