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e fame, odia gli dei e gli uomini che non lo aiutano o lo deridono. Egli si rivolge bensì alla divinità:

«O Herme, caro Herme, figlio di Maia, Cyllenaeo, ti prego: ho freddo. Da’ un mantello a Hipponacte; ho un freddo, un freddo; e búbbolo»; ma bestemmia, quando non ottiene ciò che ha domandato. Egli dice:

A me non è venuto in casa quel cieco
di Pluto, a dirmi mai: da’ retta, Hipponacte:
io ti regalo trenta mine d’argento,
Ed altre cose ancora molte. È un vigliacco1.

D’un medimno di orzo ha bisogno, per farsi la farinata, d’un paio di pantofole per i suoi piedi rotti dai geloni. E tra queste lugubri voci di miseria volgare e sfacciata, suona un verso dolcissimo, sospirato più che detto:

Se amasse me una vergine bellina e tenerina!2.

Anche le donne dunque entravano in questa poesia di miseria e dispetto; ma le idee e i sentimenti del poeta sono tutti in questi due versi zoppi:

Due giorni d’una donna sono i più dolci:
quel delle nozze e quello dei funerali3.

Così è in questi poeti veramente il dramma della vita, palpitante di realtà; e si comprende come ne prendessero i loro metri e i loro accenti sì la co-

  1. Hipponax 16, 17, 20 B.
  2. id. 43, 19, 90 B.
  3. id. 29 B.