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Pagina:Pascoli - Traduzioni e riduzioni, 1923.djvu/107

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dall’odissea di omero 87

sopra la polvere, presso il camino, e si veste di cenci.
Quando poi viene l’estate ed il fertile tempo de’ frutti,
sempre per qualche meandro dell’orto piantato di viti
è qualche mucchio di foglie cadute per terra il suo letto.
Quivi egli giace dolente, ed in cuor passione gli cresce
al tuo ritorno anelando, e la grave vecchiaia gli è giunta.
Chè in questo modo pur io fui già morta e compiei mio destino:
e nella casa non già la Lucente, la Saettatrice,
fattasi presso, m’uccise con qualche suo strale soave,
e qualche morbo nemmeno mi venne, di quelli che a forza
d’una terribile tabe più tolgono, l’anima al corpo;
ma il desiderio di te, ma il pensiero, o sereno Odisseo,
tuo, l’amor tuo mi privò della vita ch’è miele soave„.
Tanto diceva; ma io, io voleva, ondeggiando nel cuore,
stringere l’anima a me della dolce mia madre già morta:
feci tre slanci, chè il cuore voleva che a me la stringessi;
e dalle mani tre volte volò, come un’ombra od un sogno,
via. Nel mio cuore sorgeva ogni volta più spasimo acuto.
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l’eroe del dolore e l’eroe dell’odio

Ecco che l’anima me ravvisò del piè-rapido Achille
e lamentando parlò le parole dall’ali d’uccelli:
“O Laertìade, celeste Odissèo, che sai mille vie,
tristo, qual anche maggiore tu mediti impresa nel cuore?
Come nel Buio discendere osasti, ove privi di senso,
languidi spettri di lassi mortali, dimorano i morti?„
     Questo diceva: quand’io ricambiando i suoi detti, gli dissi:
“Figlio di Pèleo, Achille, di gran lunga il miglior degli Achei:
venni per necessità di Tiresia, se qualche consiglio
desse che faccia me giungere ad Itaca, l’aspra di rupi:
chè non peranco ho toccato paese d’Achei, non peranco