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dall’odissea di omero 89

tutto narrarti sincero, nel modo che vuoi che ti narri.
Fui io che sopra una nave incavata, d’uguale rullare,
lui già da Sciro menai tra gli Achei dalle belle gambiere.
Quando dintorno di Troia noi divisavamo il consiglio,
esso parlava per primo e non mai la parola falliva.
Nestore, simile a dio, lo poteva sol vincere, ed io.
Quando poi nella pianura lottavasi ad armi di bronzo,
non nella folla giammai, non restava giammai nelle file,
anzi correa molto innanzi, a nessuno cedendo in coraggio.
E trucidò nell’atroce puntaglia parecchi guerrieri:
tutti nè io ti potrei ricordare nè fartene il nome.
Quando poi dentro il cavallo, ch’Epèo lavorò, salivamo
noi degli Argivi i più forti, che tutto era posto in mia mano,
i condottieri dei Danai ed i consiglieri, sì, tutti,
si detergevano lagrime, avevano il tremito sotto:
lui, non lo vidi una volta, che ben lo fissavo con gli occhi,
impallidire nel corpo suo nobile, nè dalle gote
tergersi lagrime. E poi mi pregava egli supplice molto,
che dal cavallo lasciassilo uscire, e palpava alla spada
l’elsa, ed il legno gravato di bronzo, minaccia ai Troiani.
Quando alla fine l’eccelsa città saccheggiammo di Priamo,
e’, con la parte e con anche un bel dono, montò sulla nave,
senza ferita, non mai nè da lungi da punta di bronzo,
nè da vicino colpito, qual è di sovente la sorte
nelle battaglie, chè il dio nella guerra non guardasi attorno„.
Questo dicevo, ma l’anima già del piè-rapido Achille
s’allontanava a gran passi, via via per l’asfòdelo prato,
tutta gioiosa, perchè gli dicevo la gloria del figlio.


nella patria

Stavano intorno l’altare — E dal sonno il divino Odissèo
si risvegliò nella terra de’ padri. Nè già la conobbe: